15 ottobre 2015
Porgimi gli affanni in assonanza
Cos’è?
Non credo il cambio
stravolgente della pioggia
dagli occhi,
così per scadimento atroce,
per sopito dilemma dalle mani,
dai canti antichi disincantati,
neanche è un rimorso,
come sogno,
come rostro al centro,
al vertice qualunque
oppur in aree protette
per gioco perverso.
Sono forse le smagliature
del frastuono
che già vanno sicure
in conclusione
mentre tu diffidente
cambi accordo,
dal rock al folk
poi al rock,
ma dimmi,
tu dove sei? Tu che sei prona
sul letto ad incantare
ammiccante,
do7 sol.
In fondo la decisione
è stata presa,
sentenza inflessibile,
nessun gravame possibile,
tra noi solo silenzi,
incompatibili,
diversi,
magiche manie involontarie,
sì,
magari anche il cofanetto
e le tue gioie stampate
tra labbra violacee,
tra il mascara dark,
tra i nuovi indumenti. Avvinghiata
tra collane e piume,
sincretia,
sì,
dai,
lo ridico,
metti la gonna zingaresca,
metti i braccialetti
turchini, quelli alabastrini,
quelli iridei,
poi infine quelli con le borchie,
e sì.
Sarà quel tuo mah
a intrigarti vanitosa,
o anzi quel sospiro
di velluto,
quel baratto arabesco,
quell’intarsio da mercatino,
e poi,
e poi un paio di vinili,
o diamine l’artista,
proprio non ricordo il nome,
credo robetta spagnola
o francese,
panteista quindi o
dada,
sintetizziamo, dai,
anarcodecadente,
vana suadente,
scanzonatamente,
poi batte il piano lontano e forte,
t’aggio voluto bene, assai
(quell’assai lo dici tre volte).
Ci vediamo ancora?
Certo, ci vedremo
nel momento in cui avrai
finito i tuoi giorni
(dio che bastarda),
quando l’anima
si ricongiunge al corpo
(ma non è già congiunta,
mah,
e questa volta mah lo dico io),
quando magari
non sei più tu nemmeno
(io credevo che alla fine lo trovassi
me stesso
non lo perdessi,
continuo con i mah,
no dai,
faccio uno smile da sms),
quando percepirai l’assunto
e lo comprenderai in contemplazione.
Con fumetti
persi tra i denti
che non mostri,
nel momento che sostieni
il campanile trecentesco
ricco di scritte,
ah gli artisti di strada,
ci pensano già loro,
tengo nel palmo il tutto,
porgo il patrimonio decumano,
parlo invano.
O infine canticchiando
di nuovo, nell’istante
in cui ti scuoti,
fulgente neopalestrina
riproponi i tuoi contrappunti
gotici.
Scenderà la foschia
in pieno luglio partenopeo
per serviti
un paesaggio condito
e tundreggiante
sottomesso ai tuoi voleri,
poi un ululare scandinavo
sarà indipendente
dal suono germanico o vittoriano,
sarà quasi similfinnico.
Nell’ipotesi cambiassi idea,
sai dove trovarmi,
porgimi gli affanni in assonanza.
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8 ottobre 2015
Succubi alla profezia
Succubi alla
profezia
si partiva,
centomila
armate schierate,
marce e
petti impostati,
rami d'ulivo
e palme tra
le mani,
all'improvviso
il cataclisma planetario,
l'infinità
dei mondi
ridotta a
circolo delimitato
dall'invettiva,
dall'inventiva
femminea.
Nel tempio
di Delfi
la comunità
di Filadelfia lesse,
i copti
intralciati dalla Maddalena,
intimamente
riapparve Atlantide,
con
nocumento,
gli dei
torneranno,
sono tornati
o stanno
avanzando.
Nella Città
Eterna
fu un lampo
a scatenar la foga,
in un solo
istante
fu riacceso
il fuoco di Vesta,
due
metallare in un angolino
a fumare,
tre
scuotimenti emo
a
tagliuzzare i resti artificiali
del domani,
a
riaccordarli,
a incollarli
ad uso collage dadaista,
sembra che
sia sublimato
il punto
alternativo di vista.
Nella volta
celeste
diversi
segni luminosi ingannevoli,
nella
stratosfera i caccia americani
si accostano
e implodono
ad uso
cheeseburger,
bevanda e
patatine
ovviamente
comprese.
Infine lungo
il corso
si sviluppa
l'apocalisse,
tra le
caldarroste
e gli
artisti di strada,
spiazza
l'iceberg inflitto
a colpo
d'ascia
della
scienza spiritica
congiunta in
sezione aurea
alla
naturale.
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