31 ottobre 2015
Berecyntia
Memorie
oscure (dialogo notturno)
"
nobiltà nata nel fango
alto
disonore!"
intrepido pullulare ardente di
passione, gaudio genealogico ed
intenso, scosceso sentiero di
verità
celate, disonore
intatto,
nobiltà
spezzata, fare altero
evidente ed indissolubile.
"
Angelo di bontà conosci l'odio,
i
dubbi terrori di quelle orride
nottate
che comprimono il cuore
come
carta spiegazzata?"
conosco
il lento venir meno dei demoni incantati che gioiranno fragili
all'ascesa
dell'oscurità celtica,
che
aspettano impazienti che un veltro
li
trapassi
e
li scrolli docili verso l'infinito.
rev:
"Oh
notte senza stelle, oscura notte "
tiepida
risplendi luna pallida mentre contemplo la tua immagine riflessa sulle acque
"La
notte irresistibile, la nera umida notte, la funesta notte di brividi percorsa,
ormai consolida il suo dominio"
e
le celtiche genti indomite danzano sotto il lampadario minuzioso e fioco di
speranze mentre si eclissa l'ultimo barlume e l'occidente cede il passo alla
potenza oscura
Immago
a tarda sera
Sguardo
inclinato verso il sole
proteso
all'imbrunire il tuo ardore
che
già sul mio corpo
è
notturno tepore
indiano.
Dolci
sono i tuoi occhi al far della sera
incanto
gelido il tuo leggero abbraccio
sogno:
vederti tutta splendida
l'entusiasmo
dà forma a questa immago eterna.
O
pensiero che falco su cime s'innalza,
a
due passi dal docile viso scomposto
in
eterno pensando al dolce sguardo maledetto,
superando
i confini del tempo alla fine sentirai
il
dolce suono, vento tra capelli.
Intorpidito
da te
intorpidito
da te
e
dallo sguardo silente
di
ricordi sbiaditi
e
tesi al vento
è
un attimo
e
compare multiforme
la
tua figura
in
un sussulto intrepido
vorace
e dolente
sono
solo parole
che
si arrestano dinanzi
al
tuo incauto gesto
folgorante
e
resta il tuo docile volto
indissolubile
Gelido
cobalto
gelido
cobalto
dipinto
di assenzio
in
gaudiose vittorie
etiliche
incantate
dal supremo colore
intorpidito
dal pallido
incarnato
che cede alla sera
i
misteri,
al
chiaro contatto
di
un raggio di luna.
Apparenza
terribile e lucente
apparirà
sintetica,
intraprendente
lemma silente,
apparirà
un
tepore nel cielo
senza
preavviso,
dico
sul serio
stringendo
nei pugni
il
tuo velo sospeso
di
inquietudine
cambierà
tutto
come
solo
un
arido sentiero
ha
breccia
nella voce
dimessa,
un po' cupa,
nostalgica;
intorpidito
ogni furore
sono
strade,
intenta
al suicidio
di
catrame
che
sfiora ad ogni ora
il
tuo buon umore,
e
senti dolente
il
mutamento
della
pioggia.
Ricordo
fulmineo
dagli
occhi incauti
mal
dimessi
al
silenzio
loquace
come fluido
diluito
e
tenebroso
di
pensieri impuri
che
m'invadono
e
che si inchinano
al
tuo apparire
furiosa
in
estasi per un ricordo.
Fede
notturna
Il
capiente cofanetto
di
gioie perdute
sperso
tra rime
che
solfeggi sussurrati si fanno
sbiaditi
tra le dita.
Pensieri
stanotte
di
fughe astrali,
storie
da seppellire nell'oblio babelico
mentre
si impone pallido e scarno il tuo volto
spinto
dal silenzio dell'ultima nota addormentata
sui
tuoi seni disillusi aneliti di vento.
Ritorni
assopita
mi
guardi stupita,
il
domani dell'oggi è figlio del mio desio
e
il cuore indelebile su carta tracciato.
Sonnambula
silvana
L'inverno
sboccia dai rami,
scende
rugiada nottambula
ad
occhi sciupati
svogliata
sorprendi,
è
già ora.
La
storia, la nostra,
non
la racconto io,
soltanto
tiepidamente la sfioro
per
non svegliarti,
ma
riapri gli occhi a fessura
sei
tenere tra le mie mani
dolce
bocciolo silvano.
Gaudio
improvviso è madore
sul
tuo corpo sigillato,
effluvio
e vento tra fronde inerpicate
di
capelli furenti.
Ecco,
si
cristallizza il momento,
tu
voltata verso il mare d'inverno,
la
veste di lino traspare
inaudita
precipiti tra braccia indolenti.
Fuga
Prendiamoci
per mano
e chiudendo gli occhi navighiamo
traversando correnti di mari lontani,
ed anche se più tardi del previsto
al fine giungeremo sulle rive
calde del nostro mondo.
Poi,
senza remissioni,
ascolterò parlare per davvero
il tuo candido cuore
che, anche se in silenzio,
mi saprà dire cose
che tu non hai mai detto.
E
sarai già brilla,
le tue parole fuoco e argento,
sole e vento
dalle corde vocali.
E
sarai ancora più bella,
il tuo vestito dalle bordature viola,
non ti sentirai sola.
Dalla
sera alla mattina
non avremo più paura
ed il nostro spirito più vero
darà corpo al pensiero
che, brulicando tra le rovine,
sarà più libero di quanto credi,
urleremo sino a tardi.
E poi
verrà la notte
e tu sfinita cadrai sul guanciale
con una forza animale.
Ed io cogliendo l'attimo
carezzerò la pelle,
soffici saranno le stelle
che dai tuoi fuochi accesi
cadranno più cortesi
sul mio braccialetto.
Illumineremo
il cielo
con un arcobaleno di diamanti
dagli zigomi striscianti
che toglieranno il vero,
il buono e il giusto
dalla nostra mente,
zigomi di serpente.
E,
come dei bohemiens,
non ci cureremo del passato
né tantomeno del futuro,
vivremo coscienti
solo di essere noi stessi.
Ma non
sarà poi il giorno a svegliarci
col suo soffice e sottile filtro di luce,
sarà un repentino mutamento
della temperatura del nostro corpo.
Saremo ancora mano nella mano
e i baci, baci, baci
investiranno il corpo
come sopra come sotto.
Però la nostra forza tremante
cadrà sconfitta a terra.
Il
circolo ondulatorio della testa
intorno ad un oggetto fisso,
che poi è lo stesso,
ci renderà più lenti
nei movimenti.
Il flusso di ricordi
sarà annebbiato da dimenticanze
a vivide alternanze.
Le nostre ali spezzate
saranno rinnegate
dagli altri
ma risorgeranno dal nulla.
E la
fonte blu cobalto
stenderà sul tuo smalto
uno strano desiderio.
Berecynthia
Nube
d'assenzio discende lieta sulle tue forme perfette, un nuovo giorno avanza e si
dipinge lo spettro della vita tra storie colme di verità, anzi la venuta di
mille colori esplosi tra i rami spogli, un desiderio, rompe ogni attesa e si
impreziosisce la tua fragilità, un simpatico refolo ti schiarisce la voce e la
realtà bianca e pura è il tuo potere, il solito crescendo tra le foglie è
l'apparenza dei tuoi capelli di rame, dei tuoi sogni innocenti e dei tuoi cenni
perversi di generalessa alla mensa del sapere con l'elmo e il candore di parole
ferme e frementi mentre scorre il tempo e resti la ragazza di sempre, la
dominatrice di ogni sussulto e di ogni canto.
In cima al monte bendata sei il refrigerio dei miei pensieri, la fonte dei miei
desideri, passano i mutamenti, ritornano all'origine anche quelli, ai ricordi
dai forma e vita, unito al cielo il tuo fiato gelato, congiunzione dello
spirito tra labbro e fronte, segnali occulti tra i righi, spazi che colmano le
indecisioni, chiavi svogliate e da te sincronizzate, mantieni il tono di voce e
impassibile ti addentri tra i tuoi trastulli artistici, creature immortali alla
tua sinistra, stendardi e simboli a destra, mille diademi e l'assoluto poggiati
sul capo, sospeso il giglio e l'acacia tra i denti, il leggio lì innanzi emana
leccornie d'incenso, è tutto pronto, ogni cosa al suo posto, inizia il folle e
ardito sbarco.
L'attimo di silenzio è riprodotto dal verbo muto, l'aura alle tue spalle si
infiamma, si inerpica il violaceo riflesso, tutto è stato detto, togli il velo
del giulivo e del tragico incanto e si arresta il flusso, si intorpidiscono i
sensi, voci lontane sono un unico coro e la linea delle cinque sostanze
un'unica barriera di forza, l'uno invisibile diviene percepibile.
...ed
ora, reduci da quest'ennesima
crociata
siamo
striscianti ma con gli occhi al cielo...
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15 ottobre 2015
Porgimi gli affanni in assonanza
Cos’è?
Non credo il cambio
stravolgente della pioggia
dagli occhi,
così per scadimento atroce,
per sopito dilemma dalle mani,
dai canti antichi disincantati,
neanche è un rimorso,
come sogno,
come rostro al centro,
al vertice qualunque
oppur in aree protette
per gioco perverso.
Sono forse le smagliature
del frastuono
che già vanno sicure
in conclusione
mentre tu diffidente
cambi accordo,
dal rock al folk
poi al rock,
ma dimmi,
tu dove sei? Tu che sei prona
sul letto ad incantare
ammiccante,
do7 sol.
In fondo la decisione
è stata presa,
sentenza inflessibile,
nessun gravame possibile,
tra noi solo silenzi,
incompatibili,
diversi,
magiche manie involontarie,
sì,
magari anche il cofanetto
e le tue gioie stampate
tra labbra violacee,
tra il mascara dark,
tra i nuovi indumenti. Avvinghiata
tra collane e piume,
sincretia,
sì,
dai,
lo ridico,
metti la gonna zingaresca,
metti i braccialetti
turchini, quelli alabastrini,
quelli iridei,
poi infine quelli con le borchie,
e sì.
Sarà quel tuo mah
a intrigarti vanitosa,
o anzi quel sospiro
di velluto,
quel baratto arabesco,
quell’intarsio da mercatino,
e poi,
e poi un paio di vinili,
o diamine l’artista,
proprio non ricordo il nome,
credo robetta spagnola
o francese,
panteista quindi o
dada,
sintetizziamo, dai,
anarcodecadente,
vana suadente,
scanzonatamente,
poi batte il piano lontano e forte,
t’aggio voluto bene, assai
(quell’assai lo dici tre volte).
Ci vediamo ancora?
Certo, ci vedremo
nel momento in cui avrai
finito i tuoi giorni
(dio che bastarda),
quando l’anima
si ricongiunge al corpo
(ma non è già congiunta,
mah,
e questa volta mah lo dico io),
quando magari
non sei più tu nemmeno
(io credevo che alla fine lo trovassi
me stesso
non lo perdessi,
continuo con i mah,
no dai,
faccio uno smile da sms),
quando percepirai l’assunto
e lo comprenderai in contemplazione.
Con fumetti
persi tra i denti
che non mostri,
nel momento che sostieni
il campanile trecentesco
ricco di scritte,
ah gli artisti di strada,
ci pensano già loro,
tengo nel palmo il tutto,
porgo il patrimonio decumano,
parlo invano.
O infine canticchiando
di nuovo, nell’istante
in cui ti scuoti,
fulgente neopalestrina
riproponi i tuoi contrappunti
gotici.
Scenderà la foschia
in pieno luglio partenopeo
per serviti
un paesaggio condito
e tundreggiante
sottomesso ai tuoi voleri,
poi un ululare scandinavo
sarà indipendente
dal suono germanico o vittoriano,
sarà quasi similfinnico.
Nell’ipotesi cambiassi idea,
sai dove trovarmi,
porgimi gli affanni in assonanza.
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8 settembre 2015
Alma incantatrice
Il mio cuore
innanzi geme,
sorge una
stella nel tramonto.
Alma
serafica
sorgente
pura del mio
spirito,
dentro me
sospiri
e
candidamente scosti l’aria,
che
movimento puro,
che
disincanto sospeso,
che pensiero
disilluso
amor mio,
la vita non
ci dona
la candida
rosa,
la scorgiamo
solo da lontano
come emblema
del nostro
cuore.
Il sapore
del vento.
E ticchettio
mio dove sei?
Amore livido
e seducente,
dove sei mia
attrice,
lunare
effige plastica,
ciondolo
siriano al collo,
mio speciale
barlume lieve,
tu dispetto
buffo,
paonazza e
bronzina gioia,
goccia
vespertina,
acrilico
scardinato
ma
possentemente intriso,
musica dolce
nelle vene,
sole
notturno e gelido,
melodia
stampata indelebile
sul vetro.
Sorge una
stella nel tramonto,
ti amo credo
e te lo dico
senza perifrasi,
tanto è come
staccare un fiore
ed
annusarlo, lo sai che preferisco
contemplarlo
e immaginarne l’odore,
ma stasera
sento un tepore
che dai
polsi mi invade la schiena,
scende a
perpendicolo
e mi scuote
il capo,
ti prego,
vieni qui con me,
sogniamo
insieme nella radura,
so che ci
sei,
so che
verrai,
se sei
mancata a tante albe
non potrai
dimenticarti di me
proprio ora
che riscende la notte,
sì so che
verrai,
sarai qui
appoggiata
alla mia
nuca,
noi di
spalle
gli un
gl’altri
a guardare
il cielo
e poi
chiudendo gli occhi
a
raccogliere l’attimo profondamente,
trattenerlo
e non perderlo più,
per sempre
insieme.
Per sempre!
Sorge una
stella nell’aurora,
senza di te
la rimiro e penso,
dove sei ora
ormai non lo so,
né che fai,
tempio
d’Egitto
e
principessa della progenie
arcadica
saggia e caprina!
Sorge una
stella a metà notte,
vago in
speranze lontane
con te
distante, mi volto e piango,
tu non ci
sei,
sono
assordato da questo silenzio!
Sorge una
stella non so dove
ed alzo le
mani,
saluto e
scanso le foglie caduche ,
ti attendo e
mi asciugo gli occhi.
Tu intanto
presente e apparente,
guerriera
prima,
amazzone,
eco lontano
rimbomba tra
le stalagmiti,
odore di
fumo e tamerici.
Nostra dama
sull’orchestra,
oscura e
funesta
l’attesa
dei tuoi
occhi,
solo per
rimirarli,
pragmatizzare
nella realtà fuggevole ed avversa
il mio
eterno sogno tutto nuovo
e dipinto.
La gabbia
dei sinceri addii
che tristi
rotano lì intorno,
la fiamma
dei cabalistici ulivi.
Follia e
Dionisio,
vivi nelle
vene
e nella
scure,
amore
bazzicante.
Sento la
forza arcana,
la potenza
ancestrale,
la violetta
scismatica ragazza.
E poi
l’incanto dei pensieri,
scuri dal
sapore lieve.
Vocetta,
dici a tua
volta,
il maestrale
nostrano
non è la
furia scandinava
dei tuoi
servili temporali,
succubi
domani deleteri.
Sei stupenda
scandita
dalle percussioni,
sbellicata
dagli archi
e dai mesti
sultani
che si
inchinano
e che
fremono al tuo giacere
assisa in
firmamento.
Io sono qua,
l’alba
dell’età,
l’anima del
sagrato,
l’ombra del
segreto.
E non ho le
seducenti mani
a tempo sul
ripiano,
sgomito
nell’altopiano,
banalizzo i
sentori
dell’incauto
oltraggio.
Sei di
sbieco senza fiato,
sei svilita
e xilofonata,
spiega e
metti in piega,
subisci pure
gli odori.
Sento un po’
la pioggia
e non ho
quel gomito carnale,
quell’archibugio
astrale,
quel
rimpianto sconfitto,
quel petto
trafitto.
Lezioso piatto
imbandito
non è
eclissi il sole nero,
l’atomo ultimo
del vero.
Ti ricordi
ancora,
ho lacrime
d’assenzio,
germoglia lo
smeraldo,
travalico i
monti,
ti guardo
negli occhi,
la mia testa
sul tuo pallido petto,
rosa
ebenacea sul mento
e cuore in
fermento.
Oh godo alla
vista della luna,
oh godi al
verbo incarnato,
trasfigurata
effige catara,
provenzale
sonata,
tubinghese
teologia,
atavica
pazzia,
orda
indoeuropea stanziale,
vitello
d’oro,
taurino
messaggio,
belante
miraggio,
allucinato istante
bendato.
tu,
specchio,
valvola
trascendente,
tasto
d’avorio,
scala in si
minore,
giro
ossessivo,
armonica
compulsione strumentale
e la testa
sotto il cuscino.
Tu,
tu già lo
sai,
sulla sponda
del molo
sfoglierai
la luna,
oh frastuono
di miele,
oh onda
spumeggiante
e lastrico
di schiena bianca,
tondo
violetto,
clavicembalo
alato.
Starei con
te
guancia a
guancia a fissare
impietriti
il mistero,
e arriva il
do,
ho voglia
delle tue labbra,
mentre
sussurri
nel mio
rimpianto onirico.
Oh, i tuoi
capelli sul mio petto!
E non hai
l’ortica istigatrice
sul ventre,
continui.
Sarà il
nostro segreto
l’aurora,
vaneggi
mentre protendi
il tuo dito
serrante
sulle mie
labbra.
L’albero
esplode,
è ciò che mi
preme
divorare la
sapienza del bene
e del male,
la contemplo
e non oso
per pudore
e folle
bramo ancora
vigore nei giardini,
sono tuoi
gli altarini
miei e tu
altera
sogno mio
sogno mio
impossibile
e tu tanto
vera,
tanto
carina,
tanto
profonda,
tanto
carnale,
tanto a
portata di mano,
tanto dolce,
tanto
splendida,
stella del
tramonto,
luce
dell’aurora,
sussurro
dell’eterno.
Ascendo tra
le foglie,
sono
superba,
strafai.
Astri
estrosi
incrociano i
nostri sguardi
mentre li
orchestriamo,
accordiamo
le falle,
nessuno può
fermare
il nostro
palpito furioso,
mai,
la tua veste
candida
verde sotto
assedio
giglio,
mistero di
vetro è questo,
cristalli
condensati nel tempo
e rimessi al
vento,
rimessi al
senso,
assi e travi
urbane
a sostegno
dei giorni,
paonazza
sei, ragazza,
affronta i
ridenti,
angosciosi
fermenti,
lividi
inospitali
sul polso
violato,
docile
riporto,
matematico
sfregio naturale,
vasta
alleanza sui binari
dalla fiamma
antica.
Bacchetti la
corda
con forza
tra le nubi,
vai mia
piccina instancabile,
continua a
suonare,
le carte le
puoi giocare tranquilla,
sono
paziente,
squarcia il
velo orientale
dell’illusione,
e sorgi luna
in luogo del
sole,
ridona la
potenza
alle selve,
riaddenta la
mela,
volgi lo
sguardo alla luce,
alla
ortensia
alla viola
ricordo,
un lieve
sentore
sobbalzerà
in te,
serva e
padrona d’assoluto,
maestra e
scolaretta,
demone
angelico.
Astri
estrosi
ruotano
intorno
mentre
scriviamo,
il piano
stonato,
la vita
nostra sintomatica
svilisce il
potere superbo,
sorge per
sempre
il bagliore
pallido,
nell’abbraccio
possente
fondiamo e
creiamo
staticamente
la sostanza.
E di notte
lontana tu,
tutto
finisce,
tutto
inizia.
Avessi fiato
parlerei di te,
avessi voce,
abilità, scrittura,
parlerei di
te,
avessi senno
scriverei di
te,
l’intelletto
mio sulla luna
e rabbia
cieca
nell’impotenza
della realtà
avversa.
Magari in
barca
parlerei
solfeggiando
il golfo
costeggiato
ed ingolfato
veicolo
stellare,
la sabbia
che sporcò la stiva,
vestigio
umano
del ricordo,
padroneggi
con rispetto
il mio
timone alla deriva
naufrago,
nocetta
buffa,
vocetta
candida e serpentina
cassi le mie
casse
con rinvio,
formale l’errore
illogico il
dolore,
manifesto
marxista infondato.
Accendi la
siga e tiri sorridendo,
il tuo fumo
appanna i miei
occhi
portali,
in sogno
portuali
appigli
sepolti
e sepolcri,
spogli nichilisti
da canarini
che tu sai,
sbottoni la
camicia in trance,
meditazione
ondulata,
e già!
Dagli un
nome a ogni creatura,
va be’
questo proprio no,
il suono
fonetico deriva
dall’onomatopea,
fumetto
primordiale e astrale,
studi la
parola e allora
perché
babeli ancora?
Il gruppo
clanico
cambia forma
non sostanza
né apparenza,
vedi
l’allitterazione
tra suono
naturale
e pronuncia
umana vocale,
costante
consonante,
impronunciabile
e sonante,
il nome di
dio lo puoi intuire,
e la disfatta
mia evidente.
Un altro
paio di tiri
perché me ne
lascerai due,
già lo so,
mi offendo
così però,
contrasti la
trinità,
la verità
non è duale
o manichea,
ma unica
perché il
dispari alla lunga
fa unità,
l’infinito è
un otto capovolto
(direi tosto
disteso e sognante),
pari ma
impari
dunque
impuro,
cadi in
contraddizione,
accendiamo
un bel falò
e ammettiamo
l’inesistenza
del pari
allora.
Piangi ma
che fai?,
ti disperi,
in realtà mi
accorgo
fingi e poni
il piede sinistro
in avanti
il destro
ben saldo
e dai fiato
al fumo:
esiste tutto
quanto,
il pari in
realtà
è disparico
in disparte
quindi
dispari se si completa,
dunque il
pari è parte
del dispari
risultante
e di
conseguenza l’infinito
finito
incompleto.
Ohibò!
Quotidiana,
essere
divino e tanto quotidiano
e familiare,
seppur
lontano,
lontano
evanescente dolore spento
rosa
dischiusa in silenzio,
dolce
effusione
mentre fissi
la tela.
Vorrei
scrivere effluvi,
vorrei
partecipare al simposio
tracimando
lo spirito.
Sognami.
Sognami.
Sognami.
Quel canto
elevato mi scuote.
Granelli
tanti
quanto i
giorni in giovinezza.
I segni del
tempo
sul volto
cedono
alla potenza
del bello.
Le palpebre
sbattono al vento,
portoni di
cortine incartocciate,
sbadate e
sincere
mentre
studio i tuoi sguardi
di sbieco,
tu assisa
sul bordo
della fonte
centrale.
Ragazza
guardami ancora,
sono nel
punto genealogico
delle realtà
oniriche,
ditirambica,
filippica,
estrosa e
sofista.
Tu,
prediletta dai numi,
il mio fiato
è per te,
io frollerei
solo
per un tuo
fugace accenno,
uniti,
indelebili,
te lo
ridico, sei la voce
che da corpo
ai miei pensieri,
la tua
essenza mi guida
solingo con
verga e lanterna,
ed io non
posso tradirti
o
abbandonarti, non voglio.
Sussurri
come brezza d’inverno,
la tua voce
non copre il gemito,
ecco il mio
cuore!
La mia anima!
Il mio
spirito!
Il mio corpo!
Materializzati
allora
dolce
eterea,
la tua voce
intensifica il suono,
diviene
strumento essa stessa,
e allora
destreggi purità e sorridi.
L’incubo mio
si raddolcisce
in un
istante,
l’eremo tra
la vivida
vegetazione,
l’ermo
domani.
Imbellito il
vascello
dei
pensieri,
l’ultimo eco
è risuonato,
dardi di
fuoco in campi di spine,
non diamo
spazio abbastanza
all’incanto
del dominio
senza armi e
armature,
con egide
dagli occhi gorgonici,
nemici
atterriti,
la spada del
verbo,
la ruota
dentata
con te
minacciata.
Vai senza
aspirare,
fuma
tossendo,
precludi un
assedio,
tranquilla,
l’aurora è vicina,
già vedo
venere e luce
dell’angelo
ribelle,
già vedo il
fuoco
e la
maledizione, il grifone
che rode la
bile,
incessante
il dolore,
ciclico il
riapparire
con fasti
dionisiaci,
con mandrie
gelate,
o dissi
offuscate,
il frutto e
la conoscenza,
cioè
consapevolezza
e libera
scelta.
Poi il
brivido dorsale,
certo ci
vuole,
e ti affanni
a rinsavire,
vorresti
trovar la formuletta
anche per
questa sconfitta
benedetta,
(e sto parlando
di me,
ricorda,
mia
simbolica alma concreta
riflessa)
allora tu ti
alzi austera,
aspetti i
canti di gloria,
le sonate
del furore popolare,
dell’arca
trainata,
tale sembra
il tuo
perverso
sortire.
E mugugni
trasognando
nel vuoto
della stanza,
la radio a
mille,
a mille il
cuore,
lo tracci un
sorriso,
cominci ad
inveire,
a spegnere
il verdetto di fuoco
coll’umore
del corpo,
ti arresti
improvvisa,
la pelle che
freme,
la luce che
accenna,
spegni la
lampada,
scaldi le
gambe col fiato,
slanciata in
avanti
coi muscoli
tesi,
gli
occhietti furbetti,
la piazza in
fermento,
l’odore di
polvere e vento.
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