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BLOG "http://dichter.ilcannocchiale.it/", AUTORE DEL BLOG DOTTOR GIOVANNI DI RUBBA. GLI SCRITTI, IN LIRICA ED IN PROSA, PRESENTI IN QUESTO BLOG SONO OPERA DELL'AUTORE DEL BLOG, DOTTOR GIOVANNI DI RUBBA, E DI SUA PROPRIETÀ. |
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17 gennaio 2016
Sgocciola il ricordo del futuro
Sgocciola il ricordo,
pianto
è l’illusione
di un giro contorto
perso tra visioni,
versioni,
incursioni,
andaluse stanze,
piazze
in giro tramortite.
Così
misi la fine
la mia
quando
sognavi ancora e poi
credevi
all’ultima intrapresa
resa
come
inizio e dignità.
Ancora e ancora,
solo l’aurora,
resta il tempo
maledetto
del ricordo
ieri vedo
ciò che dico
e raccontai
tra l’intervallo
primo e questo.
Così,
sarà così
che tu
struggente,
la stessa,
la vita
di quando
a un palmo
ero distante
e tu così vicina.
E canto
e cantai solo di te.
Tormenti
intesi,
sussurri
gli anni passati
ormai finiti.
Eccoti
qua,
cambiata e sempre tu,
ragazza che raccoglie in sé
l’armonia tutta,
l’umanità intera
ed ogni altra non è
che parte di te.
Eccoti di nuovo
nella mia memoria
stesa su panchina,
mi ricordo!,
dicendo sai,
discorso
prezioso,
tu ricordi il nostro tempo
al confine
dell’universo
intero;
esso era
ed è ancora
nei tuoi occhi
che sai
e sai il tuo nome
e dire
sì, è questo,
scoperto il suono
sull’atlante
ma dopo
il gusto
io scriverei la stessa cosa.
Il segno del ricordo.
E tu continui
Bea con la lettera d’inizio,
ossia lì alla fine della musa
di bellezza,
che ti rimanda
al boschivo
cirro tra porpora e arenaria
e all’occhio lucente
metilene e cobalto,
ma sfumato e profondo.
S’arena dunque l’alma mia
come lucente al trotto
del giro commosso
e ridicolo
e s’arena ancora alla tua vista
splendente
che sembri trafitta e risorta,
che sembri andata
ma col vigore di allora,
che ti amo ancora in diecimila
intensità diverse
ed amo il tuo corpo
soggetto a mutamento
e più muta più l’amo
più penso
ad allora,
l’estate e quanti anni!
Quando cominciò
come valanga ora immerso
nel fango,
in sedimenti irrecuperati
e irrecuperabili
o tu mia luce,
quanto di te ricordo
e prima ancora dell’immagine
la voce
e prima ancora il suono
e il sibilo anzi ancora
quanto m’è dolce.
Quanto mi è dolce il tuo volto
che si scrolla
e tutto nuovamente smuove
e non solo in me
ma traballa in mille serie multiformi
tutto ciò che è attorno.
E dal corpo all’alma tua,
quella ancora più viva
quella tua maestosa alma
alla tua statura parva
che ingrandisce l’orma
di te
in un tripudio
dell’immenso
e l’alma, l’alma
è l’alma
sei tu splendida!
La tua alma dormiente
che subito si sveglia,
la tua alma che ti è e ti rende
e tu divieni
dunque
immortale alle genti
e l’essenza
traspare
e languisce,
la vista inebria
e la mia parola si arresta
tu verità dalle tante ragioni
e dal cuore di tenebra,
incanto del domani
il nostro passato.
E ti rivedo
e ti sogno
riletta ovunque
e ovunque
una persa
ricuperata
e intensa.
E lo spirto
più ancora
è il tuo verbo
di cui ho detto,
e che lascio al silenzio
nella preziosità della tua assenza,
a me forse più prezioso
ma adornato
ed agghindato
se mai risentissi
o concessomi farlo
divina che ometto la i
mettendola in eccesso
come alle terme
perché la mia è incompletezza
e la tua perfezione.
Ah sapessi che fai,
sapessi parlare
o scrivere
o dire
o segnare nell’aere
o nel segno tuo stesso
di ieri il completamento
quanto lontana mi è la vita,
quanto le cose,
quanto gli affetti,
quanto l’amore,
ma ragazza di un tempo,
indelebile mia compagna assente
di questi ultimi miei anni,
sapessi vivere
vivrei di te.
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4 ottobre 2015
Sonata
Due bestiole
si presentano,
che
graziose, che portamento,
che quiete
sentir il fermento muto,
l'incanto,
il canto tuo, è così sublime
(e sei col
libro chiuso).
Sembra quasi
la musica
non si
percepisca,
solo un
lontano bagliore tonale,
è un'arpa
rinascimentale,
un inciso
spirituale.
Il risveglio
fischiettante dei folletti,
con gli
intenti furbetti,
dolce fiaba
emo,
tra Selene
fremo,
Eos avanza,
che temperanza,
la giostra
gira cara ragazza
nel carillon
protetta,
cardigan,
sia benedetta
la tua faccetta.
In punta di
piedi
tra viali
scoscesi
saliamo i
gradini,
sfidiamo gli
altarini vicini
vicini,
scansiamo il nemico
e facciam
l'occhiolino
e tu danzi
avvinghiata
a te stessa
sotto le stelle,
dio mio che
splendore!
L'acconciatura
francese
ti sfiora la
palpebra distratta,
allora
oscilli trottolina vorticosa
e scomposta,
dionisiacamente
risorta.
Ciclo
naturale
e
metempsicosi corporale,
batto i tre
quarti,
figura
perfetta e stellata
da
musichetta pitagorica,
le etalage
di turno
congiunte in
Saturno
hanno la
luna storta
e contorta.
Il meridiano
divide il limone
in
atteggiamento sospetto,
in dolce
compagnia sul letto
aspro e
strisciante,
la corda
pizzica ancora
come
formaggio l'asola.
E c'è una
festa in piazza,
si sente
dalla terrazza,
più altera
va la ragazza.
La spola fan
tre o quattro
appostati
sotto il palco autunnale,
il vento
soffia,
l'amplificatore,
la spina, le cuffie,
il motore.
E poi gli
stralci,
sonetti o
minuetti,
il maestro
si sbatacchia,
poi vede la
ragazza,
non è
distrazione
ma entrar
nel vivo della questione.
La musica
infatti avanza,
avvitamenti,
piroette
maledette,
odore di
fumo, sbuffa la pipa
all'inverso.
Siamo ancora
all'inizio,
ne
passeranno di ponti
sott'acqua,
archi romani sprofondati
e corrosi
dal flusso,
il maestro
spettinato
indossa il
cirro stonato,
copricapo
lodato, disimparato,
frastornato
e sciupato.
Vai in re
minore,
te lo
aspetti,
non sei
dodecafonico,
allora
l'orchestra sbadiglia,
pastarella e
amarena stanca,
vorrebbe
inchinarsi per sopirsi,
il pubblico
bivacca,
divora le
note indigeste,
scucite e
scandite
dal
ticchettio di novena ripiena.
Eccolo,
entra in
scena,
proprio
mancava, l'assicurato
impresario
che lancia in aria
i tre
danari, mette da parte
e investe i
talenti
ad uso
contadinello ottuso
ed imbevuto
di pesticida laureato,
di sandalo
arricchito e deluso.
La ragazza
sonata si ribella
alla
disfatta, gambe all'aria,
è tutta
fatta,
affonderà
col transatlantico,
vicino mio
dio,
l'incubo
mio,
tra le fauci
del coccodrillo
riversa
sincera la chimera
e le
partiture, tutte le arsure
e le
violette infine.
Mi alzo dal
letto al frastuono,
il
pragmatismo ha svilito il suono
docile e contemplativo,
l'anima e lo
spirito si ribellano
ad un corpo
che non vuole piegarsi
ad essere
semplice contenitore
e strumento
dell'una e dell'altro.
E scorgo
lontano,
la vista
aguzzo,
dicevo
scorgo un lamento
materializzato
di un mondo eclissato,
un mondo
lontano e ovattato.
Poi uno
scalpitio,
il
mendicante ritratto,
armato di
bastone,
nell'incedere
distrae.
Folle,
folle,
folle il
venditore,
freme,
freme,
freme la
bancarella,
fruga,
fruga,
fruga sotto
il suo velo.
Il nostro
cuore è l'ultimo rumore,
il vento
ancora più forte respira affannato,
mi hai già
dimenticato? Ma dai,
eri colà
poco fa.
Che cosa
diresti al mio posto,
fischietti e
mi ignori,
padrona
dell'oblio notturno.
Cambio di
scena repentino,
la ragazza
mi riabbraccia,
cade in trance,
cade in
estasi mistica,
in un attimo
è trafitta dal dardo d'amore,
il
fanciullino alato ha di nuovo vinto
e perverso è
il seguito...
Va tra le
note di nuovo,
godi la
musical vitalità,
vai
spogliati,
leva le
lineette nere,
bianco il
foglio dipingiamo
ed
annotiamo.
Che carina
la mantellina
incrinata
sul ruscello,
mi guardi
fissa e risplendi,
mi copri il
labbro e la tua bocca sfiora
la mia
fronte, la mente in refrigerio.
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26 settembre 2015
Emisfero di passioni è la ragazza mia
Emisfero di
passioni è la ragazza mia
ed ogni
quesito d'universo spento
ripudia
dolor nell'estroso passo,
talora
guarda al dipinto plurale
dell'erba e
del soffice manto
austero nel
canto cadenzato
e raddrizza l'inverso
fragoroso
della vista
quando, miserrimi,
celebrammo
la ventura dell'oscuro.
Talora lei
simpatica,
quando le
fisso le mani
abbassa il
viso
ed è come
voragine il
mio core,
come
tempesta il mio sentire,
tutto
trasmuta in trascendente
e non v'è
figlio di Cristo
che non
senta il pullular
di una
scolastica passione,
il vincolo
sovruman
della
femminea intenzione.
Allor si
chiede all'ombra
ristorato
un corpo
innamorato e tutto
perso
se da un
solo cenno
si può
carpire il color
dell'immenso,
le fugaci vie
mancine,
i dardi e le
stelle
che in
gomitoli di costellazione
fanno l'eco
al grappolo
vistoso della sua
silente
immaginazione,
del suo
sorriso.
Sembra che
la temperanza
vinca la
empedoclea
confusione,
la scissione
dell'armonia
tutta in
faville
quando per
la tensione
si respira
guerra
che dir 'sì
santa
è offesa
all'anima
creatrice.
E lei,
perciò,
è l'unica
salvezza,
o genti
mortal
gettate al
vento il mantello,
ficcate
nella rimembrosa roccia
l'acuminato
stendardo,
lanciate
l'elmo,
che 'sì
tosta virtù
mai per
disdegno
ha carpito
il senso mio.
Come il
pittor
talvolta
naufrago
rimugina
sull'algoritmo
fitto
del Fato
per trovar
la giusta quadratura
al cerchio,
tal io son
rimembrano e contemplando
la sua gioia
diurna
e furente
nella notte
quando
l'occhio dilata il suo vettore
e tenue come
foco rissoso
sfavilla il
suo pudore,
splendore!
Non negate
spiriti
a cotal
figliuola
che tanto ha
sofferto
e tanto
amato
la grazia
dell'immenso.
E tieni
conto
o
Misericordioso Lume
che pur se
lei ha negato
il tuo
dominio
l'occhio
ruggente e celeste
suo
a te ha
condotto
me e gli
altri innamorati
profughi nel
vuoto
infinito
dell'immenso.
Non
sperderti dunque,
o mia
canzone,
ma per li
cortili e i vicoli,
le reti
ingorde
e le
prolisse rive
spargi il
suo nome
e per desio
cedile il
posto
nel più
melodioso cerchio.
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16 settembre 2015
Tacita amata
Tacita amata
splendente tra faville ebenacee
dei miei fiati spenti,
che bestiola dolce
sei a me lontana
e sognata,
frutto dei ricordi
che non furon mai
tra la tua pelle soffice
e di dolce ammanto
immago superba
del tuo corpo che luccica tenue
e degli occhi
che per l’incanto
e il sortire
del Fato
all’alma mia reimpairano
fulminee saette;
cade di mano
il verace appoggio
e vacilla lo spirito
innanzi la tua essenza.
Sei così,
spettacolo del firmamento
allo sguardo deciso
che talor ravviva
e talor
con stessa mano,
ferrea moneta,
dal ristoro e per esso
ambito
muore di
grazia.
E ti penso,
tutta ardita,
quando come fluido
canto
fugge tra carri
di mimetiche fughe
e sintesi astruse
ed è la balza sonora
del rimando vocale
che più agguerrita mi assale
e ti penso
carina,
tutta diletta tra oscuri silenzi
e indifferente riguardo
di chi pensa quando
c’è e dimentica in assenza,
ed il mio volto il tuo
invece
contempla estasiato in tua apparenza
ricorda indomito quando apparente
è solo effige lontana
ma vividamente impressa.
Tra balze scoscese
e madrigali spogli
il tuo manto è stupendo
come se fosse di trapunta il firmamento
e se fosse di gioia il sonno
e ragione
ed ogni umana azione
anzi la mia,
verde tra viole sperdute
di giardini e di canti
a sponda di fiume
del canto disilluso
ed inutile
dell’amor che brama bellezza
impressa in un istante
manifesto ed essente
sul tuo corpo lucente.
Piange ancora il mio spirito
al desio impossibile
di te riflessa,
ed alla sonata fatta di riso
e di silenzio,
perso,
perso
e ti penso.
Sei bella d’incanto
nella tua colloquiale
quotidianità
della voce mancante
il respiro,
alati furori
di ogni canzon riflesso
e dell’orionica cassiopea danzante
al trottare del sole aprico
nella notte che scolora
su mesta tua arsura.
Ed io solingo
e muto,
ti penso,
ti penso.
Quando la notte ancor più calda
non schiarisce il tedio
nemmanco ad una frescura
ricercata,
quale viandante sperso nel deserto
alla tua vista,
oasi dilettosa e ambita,
e più si disseta
e più traccia leggi
fulminee
e labili, flebili,
sfuggenti
tra le dita
tenui
dirette alla bocca
che mai si disseta
mancando i tuoi baci
al giovial ristoro
ed è Acheronte
il corso
e non lezioso Eufrate
né altro corso magico edenico;
ed anche come il naufrago
in naufragio atroce
di mar gran oceano
non atlantico
e dal nome infame
ed ossimorico
come tempestoso al grido
di marosi
ed acque mai chete
s’avvolge, avviluppa, e in groppa
alla corrente
sommerso è da tal mole
di salmastra acqua
che lacustre le pare
più che grandiosa
ma che grandiosamente
lo sovrasta
e s’immerge
ed è continuamente
alla deriva andando
e sempre più ne è immerso
più risale
e più tortura
immane riceve
che al portator umano
del lume divino,
tal son anch’io
al tuo pensiero
tutto di te immerso
e tutto di te senza
porto sicuro alcuno,
e tu tanto possente
che mi avvolgi a tua volta
e mi avviluppi
e mi sommergi
ma è ricordo e rimembranza
e a ciò perciò più doloroso
che l’averti
quotidiana accanto,
o come il pensier
l’insonne notte
invade
me dunque!
E ti penso,
ti penso.
Ti penso anche alla luce dell’aurora
con castelli rabbiosi
e rabbiose prove,
anche al mattino,
mattutino,
laudi
e vespri
ed ogni sonno
vetusto
sei tu
ed ogni amata antica
da te occultata,
capretta boschiva,
docile furente
mia perduta
anche al desio.
E disio mai spento
sempre tormenta.
E ti penso,
ti penso.
A me non concederà
forse
né Fato né a suo comand le Parche
il cuore tuo
se pur il mio
è tutto già tuo,
e la soavità del mio pensiero
per quanto tendente
ad un nulla che in sé dilegua
ogni speme
ed ogni
misericordia
e tenue
ma terribile
nell’abisso mi trasporta
nel tartaro mi alloca
io il tuo volto sogno
e ti penso,
io il tuo volto
pongo al centro
d’universo,
come empedocleo romore
tutto scuote
il mio dorso
ed il brivido è tempesta
e mesta sei tu,
essenza stupenda
e irraggiungibile
ed impossibile.
E tutto turbato resto,
dolce,
dolcezza
ti penso,
volgesse
magari il mio misero esistere
a te,
arcana astrale arcadica.
Sarà concessa, per virtù
di cavaliere eroico
di lotta persa
e combattuta a corpo
e a sangue tra marette
contro il fuggir delle moderne
e terribili social saette,
o per la mia musica
stolta e stonata
o per la lira, l’arpa,
la solitudo,
la voce mia rotta
(la tua che tanto è bella
e tanto resta impressa
nella mente come suono che risona
e tutto
l’universo sprona
e dirige,
anima potentissima
che il cor trafigge)
o per silenzi
-sua altissima regale apparenza?
Pensami
io ti penso,
ti penso.
Un giorno, se concessomi rivederti
anche solo
per saperti
sempre mai più caduca
nel mio mondo corporal
realtà reale
che caduco si allarma
e scorre
in riservato
ruscello
ove ti sogno,
in chiara fonte
dissetarmi
e in porto sicuro rifugiarmi
e in rottura d’equilibrio universale
ricompormi,
solo la tua vista
somma mia dolce
somma mia dolce,
ti penso,
ti penso.
In disparte ti penso
e sai che non ti scordo
e se non sai
tel dico
perché l’ultimo mio lamento
sia di gioia,
e seppur tutto scosso,
assetato,
sperso,
possan le tue braccia
stringere al cuore
l’ultimo inutile e silente
fante sperso
di questo folle amore.
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