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BLOG "http://dichter.ilcannocchiale.it/", AUTORE DEL BLOG DOTTOR GIOVANNI DI RUBBA. GLI SCRITTI, IN LIRICA ED IN PROSA, PRESENTI IN QUESTO BLOG SONO OPERA DELL'AUTORE DEL BLOG, DOTTOR GIOVANNI DI RUBBA, E DI SUA PROPRIETÀ. |
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1 marzo 2016
Titoli di linea
“La luce entra tiepida”
Ai bordi di quel fiore
dalla vetrina guardo
in basso
non ci sei più,
qui di fianco a me
il tuo corpo respira
piano
e le foglie ingiallite
e la lettera dischiusa
e lei di cui mi hai
detto
ed io che mai l’ho letta;
ed è buio più di prima
dopo questi anni,
vedevo te
rifratta e lontana
nube presente
massimamente tu
che non c’eri,
l’alterigia noncurante nostra
illuminava la materia
nella nostra ultima uscita di scena.
Quindi ti ricordi
e c’eri e un senso
l’aveva
l’umidità rosea delle gote
alla deriva
sulla spiaggia
tra i gorgheggi nostri d’assoluto
ottobrini,
due mani intrecciate
ed ora il freddo
della pioggia,
solo il vento in su la soglia,
il sogno che sfumò
un tempo
ora è in frantumi
e non ci sei.
Dov’è il candore
delle sere estive,
dove l’immenso,
la stagione scolorita,
dove la voglia,
la rimostranza,
l’intima lotta,
l’ultima,
e la bellezza
dell’amore
nell’amore
e per amore.
Soffia furente
l’anima spenta
e il desiderio
è un incontro mascherato.
È già finita
mentre cercavo te.
Quei giorni a quell’incrocio
volavamo come anime pure
come sofferenti
anime ribelli,
quel giorno ti ricordi
il nostro accordo,
ora o mai più,
uniti io e te,
tu cercavi me.
Quel giorno lo ricordi
o è solo spento a fianco a me
nel tuo volto smorto,
l’incoscienza porto
e la riprova odorosa.
La nostra dualità
via di qui.
Ti sei incendiata come
si fa
quando
le anime volano
in silenzio
e non chiedono
più
verità.
“Un lamento lieve si percepisce attorno ai due. Poi è silenzio.”
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5 febbraio 2016
Schiarisce il buio
Schiarisce il buio,
tempesta di diamanti
il sogno sordo
della mia memoria
e il vento del silenzio;
così,
per ricordo lucente,
e così,
per principio assente,
rivedo lontano il sussulto
mancato
ed il sussurro sciupato
per entrare nel vivo
ecco che amplifica il suono,
esplode
a notte inoltrata
la bolla del senso
e rivedo
il tuo volto
temeraria
principessa
divina del mio
melodico accenno stonato.
Prorompe,
prorompe
lo squillo
assordante,
preludio
dell’adagio flebile
sentimento
e saliamo le scale del tempo
come naufraghi eroici
dai mille diademi
maledetti
e sei splendida
come sposa del biblico cantico
e torre di gaudio maestosa
ed avorio dei denti lucenti
e progenie del fato dilettissima
ed occhio d’incanto
ed ammaliatrice come maga
tramuti i miei sensi in bestiole dolci
come lira pizzica il tuo spirito
l’anima mia perduta in te,
come riflesso di luna posata
su specchi infiniti
il sognato tuo abbraccio,
come amarena ed assenzio le tue labbra
desiderate
eppure che so tanto leziose,
fatte d’ambrosia, mirtilli e nettare
dea perfettissima.
Ti penso.
Ora silente
è tutto,
solo
l’ombra tua
ciò che ho,
tiepido ardore
e lo sbocciare di un sorriso
appena appena accennato
mentre scrivo e la penna
ed il fumo
e tu qui assente ancora
riappari furente
posata lieve sul manto sidereo,
mia amata di sempre
ed io che ti do,
parole su parole
ed assiomi
scardinati
e poi me,
e ancora tu,
motivo
e luce
del mio suono
e vestigio d’incenso
il tuo vello,
altera
ti vedo
ancora lo dico,
terribilmente
assente
ma fugace immago d’assoluto,
senso ultimo dell’esistenza
ed ancora sovrana,
capretta cortese
dei respiri arcadici
e dei vivaci accenni
di stemperamenti
in ortensie
ed in viole
e in zagare
ed in gelsi
ed acacie
e nel resto sovrana
coi simboli sottesi
al tuo mutamento
statico e perfetto,
riluce
e traluce
la storia,
sapessi quanto mi prendi
te e come sei
tutta stupenda!
Vaneggio
che non fu
ma desio speranzoso,
sboccia
come verdura anzi tempo
respiro d’inverno
pensarti onda sottile
nei sobborghi del mio esistere,
rosmarino,
senso di tutto e tutto ad un tempo,
essenza dell’oggi
e muto il verbo
cresce d’intensità
sogno desto
e maledetta
nella tua perfezione,
dimmi ancora qualcosa,
tripudio
di suoni
è il tuo nome.
Sogno te,
penso a te,
vedo te,
chiedo di te.
Anche se ai margini
dello stordimento
pregresso
il tuo volto mi è tutto,
il tuo corpo il velluto,
il tuo manto,
il tuo cenno,
il periodo sospeso,
l’ode all’altrove.
E splendi ancora
fulgida essenza cromatica,
biancheggia
candida
la mia eterna
maledizione
nel pensarti
così
sincera
mia principessa
risveglio in notturno fragore
e sei ancora il mio trastullo
dell’intelletto
il fiore più candido
del giardino del mio cuore
ciò che non osi
nel canone inverso,
quel comporre sordo,
quel chiarore
musicale
ultima
tempesta
della ultima mia volontà.
E tanto m’è caro,
tanto,
la ripetizione
del tuo splendore
in canticchiare balbettante.
Come latte amarena
boschiva.
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26 settembre 2015
Emisfero di passioni è la ragazza mia
Emisfero di
passioni è la ragazza mia
ed ogni
quesito d'universo spento
ripudia
dolor nell'estroso passo,
talora
guarda al dipinto plurale
dell'erba e
del soffice manto
austero nel
canto cadenzato
e raddrizza l'inverso
fragoroso
della vista
quando, miserrimi,
celebrammo
la ventura dell'oscuro.
Talora lei
simpatica,
quando le
fisso le mani
abbassa il
viso
ed è come
voragine il
mio core,
come
tempesta il mio sentire,
tutto
trasmuta in trascendente
e non v'è
figlio di Cristo
che non
senta il pullular
di una
scolastica passione,
il vincolo
sovruman
della
femminea intenzione.
Allor si
chiede all'ombra
ristorato
un corpo
innamorato e tutto
perso
se da un
solo cenno
si può
carpire il color
dell'immenso,
le fugaci vie
mancine,
i dardi e le
stelle
che in
gomitoli di costellazione
fanno l'eco
al grappolo
vistoso della sua
silente
immaginazione,
del suo
sorriso.
Sembra che
la temperanza
vinca la
empedoclea
confusione,
la scissione
dell'armonia
tutta in
faville
quando per
la tensione
si respira
guerra
che dir 'sì
santa
è offesa
all'anima
creatrice.
E lei,
perciò,
è l'unica
salvezza,
o genti
mortal
gettate al
vento il mantello,
ficcate
nella rimembrosa roccia
l'acuminato
stendardo,
lanciate
l'elmo,
che 'sì
tosta virtù
mai per
disdegno
ha carpito
il senso mio.
Come il
pittor
talvolta
naufrago
rimugina
sull'algoritmo
fitto
del Fato
per trovar
la giusta quadratura
al cerchio,
tal io son
rimembrano e contemplando
la sua gioia
diurna
e furente
nella notte
quando
l'occhio dilata il suo vettore
e tenue come
foco rissoso
sfavilla il
suo pudore,
splendore!
Non negate
spiriti
a cotal
figliuola
che tanto ha
sofferto
e tanto
amato
la grazia
dell'immenso.
E tieni
conto
o
Misericordioso Lume
che pur se
lei ha negato
il tuo
dominio
l'occhio
ruggente e celeste
suo
a te ha
condotto
me e gli
altri innamorati
profughi nel
vuoto
infinito
dell'immenso.
Non
sperderti dunque,
o mia
canzone,
ma per li
cortili e i vicoli,
le reti
ingorde
e le
prolisse rive
spargi il
suo nome
e per desio
cedile il
posto
nel più
melodioso cerchio.
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4 agosto 2015
Pupilla inaudita
Pupilla inaudita e inenarrabile, matrice del misterico stesso tuo intrinseco astratto e etereo impronunciabile fattore, sguardo inebriante della pace universale, scaglione inesperto e tutto ardito, io fisso quel punto mentre assisa somma sei il rimasuglio floreale dell'essenza infinitesima che trae splendore dall' infinitamente piccolo che d'energia raccoglie in madornale concentrazione tutto l'intellegibile che scopro non più indivisibile ma percezione vaga della rissosa natura che parla a tratti come consumata dall'emissione del tuo fiato. Chi sei tu piccola anima che tanto gaudio non disdegno ma da sapore d'assoluto assurgo a mantice prolisso di ciò che solo accennato dipinse il relitto umano nel momento stesso in cui pietoso volse il suo pennello all'incanto astratto decadente dell'immenso? Par sì crudele e di oscuro salice trafitta, ma il Dark alla Desdemona trasmuta e trasuda pallade del religioso silente armeggio sapiente e mancino quando d'artemidea amazzone trafigge il dardo con sì splendore e noncuranza che l'ago nella vena dal pagliaio è pacifista assassino della belligerante resa, guerra finita e diplomazia discesa tra saporite mandorle, foglie di assenzio, caduca spina nella rosa inversa. E come d'equatore mancante il tropico dall'eros delirante vola come spasmo e trasla e parla d'incantevole fattura come respiro trafiggente del sospiro dicente all'entusiasmo, muta aspetto e scindi il desio dall'entroterra sublunare di ciò che uman ragione tace. Senza costrizione, misericordioso guardo femmineo, soggioga belve, bestie ed anime animali nel momento panpsichista di inutile lamento è la mia voce quando avverto, mentre scrivo, il melodioso passo del tuo immane pronunciar l'eterno, chiudo gli occhi come svenendo di vertigo istanza tra legge e guaritrice affanno la sintesi graziosa del male e del bene come d'angelo caduto riscattato dalla stagion divina concupita e sognatrice senza più ricordo all'aurora dell'ultima notturna vision leziosa e tutto l'universo tra foglie novembrine, maggio, ciliege fragori lampi dicembrini, neve in febbraio e sonando d'acume di notte in mezza estate sera di luglio quando il tramonto mostra la frescura d'amor, volume sustanziale ed accidente non pensabile e più guardo qull'apparenza più non respiro come dardo che stordisce nel momento della pugna ma l'assopirsi non volea acchè per sempre perfetto possa percepire. Vorrei davvero, genti mie, che poteste capir ciò ch'io guardando e stupendo mutande essenze di dodici note e dodici colori e dodici parole e numeri a tal stessa guisa. O me stesso misero fammi esporre solo un istante lo iato circoscritto e circospetto alfin che capisca ciò che il mistico saluto rende cenno concreto e viceversa. E l'ultimo attimo, come fosse il primo o addirittura passato o maravigliosamente mai sentito, è vittima d'allucinata immaginazione.
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