23 ottobre 2015
Notte ai Decumani
Notte ai
Decumani
la consorte
del principe di Venosa
coperta solo
di lenzuola
maledice i
madrigali verseggiando,
barlume
corneo nei suoi occhi.
Sansevero
miscelava arsenico
e belladonna
sulla tela
poi come un
caimano piangeva,
da cura
sforbiciata per il plasma.
Vorrei
bruciare l’odore
dei pallini
d’incenso in combustione
privi di
allori e seducenti,
il venditore
di giornali sembra
aggiudicatario
battitore,
picciola non
dimenticare
di
trasmutare la morale.
Croce
diplomatico mancato
estetizzava
estasiato in biblioteca,
l’arte è una
parte,
direi però
la fondamentale,
la molla
della storia
e del
circolo perverso della gloria.
Patteggiamo
col divo Nerone!
E l’era dei
fumetti
letti in
piazza
tra il
gomito e la tazza
di solfuro
intarsiata
stracolma di
folla indispettita,
cicche
fumate a metà.
Varia
l’effige!
Bruno
studiacchiava
nel chiostro
e si distraeva,
poi buttava
all’aria le icone
dei fratelli
e le
sostituiva con scritti
babilonesi o
neoplatonici.
Virago celtica!
Ed affinché
non
dimenticassimo le beffe
con le
cornamuse contuse
facemmo il
verso al gesso
del docente
inconcludente.
E spaziamo
con la danza!
Vai là,
ondeggia a
sinistra o di là,
vai già
più lenta
della musica,
ritmata la
tua scorza di limone,
candito
inflitto a
pizzico di dito.
La violenza
fu sconfitta
con un bacio
in palafitta
dell’invasrice
indoeuropea
ancella di
Brighid,
era un’epoca
remota
ma l’edenica
scena
non fu mai
più riproposta,
sono fiori colti
nel deserto
e tradotti
in sanscrito.
Voilà,
non manca
fumo pel digiuno,
voilà,
c’è cenere e
amore se ti volti di là,
il capo
piumato è scolorito
allora
rinunciamo all’allettante invito.
Nella notte
si cacciava
per
maledizione
non ci si
nutriva più
solo di
frumento e bacche,
la simpatica
ragazza
faceva
l’occhiolino
ed
incrociava le braccia.
Sai già,
conosci il
nome del silenzio,
vuoi avere
le cartine al tornasole,
le patrie
senza limiti e frontiere.
Le musiche
non cambiano
da popolo a
popolo
c’è
comparabilità nell’identità
perché
l’essere diverso
si
identifica solo con l’incontro
e col
confronto
ed acquista
così unicità.
Mi conceda
infine l’ultimo passo di danza.
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15 ottobre 2015
Porgimi gli affanni in assonanza
Cos’è?
Non credo il cambio
stravolgente della pioggia
dagli occhi,
così per scadimento atroce,
per sopito dilemma dalle mani,
dai canti antichi disincantati,
neanche è un rimorso,
come sogno,
come rostro al centro,
al vertice qualunque
oppur in aree protette
per gioco perverso.
Sono forse le smagliature
del frastuono
che già vanno sicure
in conclusione
mentre tu diffidente
cambi accordo,
dal rock al folk
poi al rock,
ma dimmi,
tu dove sei? Tu che sei prona
sul letto ad incantare
ammiccante,
do7 sol.
In fondo la decisione
è stata presa,
sentenza inflessibile,
nessun gravame possibile,
tra noi solo silenzi,
incompatibili,
diversi,
magiche manie involontarie,
sì,
magari anche il cofanetto
e le tue gioie stampate
tra labbra violacee,
tra il mascara dark,
tra i nuovi indumenti. Avvinghiata
tra collane e piume,
sincretia,
sì,
dai,
lo ridico,
metti la gonna zingaresca,
metti i braccialetti
turchini, quelli alabastrini,
quelli iridei,
poi infine quelli con le borchie,
e sì.
Sarà quel tuo mah
a intrigarti vanitosa,
o anzi quel sospiro
di velluto,
quel baratto arabesco,
quell’intarsio da mercatino,
e poi,
e poi un paio di vinili,
o diamine l’artista,
proprio non ricordo il nome,
credo robetta spagnola
o francese,
panteista quindi o
dada,
sintetizziamo, dai,
anarcodecadente,
vana suadente,
scanzonatamente,
poi batte il piano lontano e forte,
t’aggio voluto bene, assai
(quell’assai lo dici tre volte).
Ci vediamo ancora?
Certo, ci vedremo
nel momento in cui avrai
finito i tuoi giorni
(dio che bastarda),
quando l’anima
si ricongiunge al corpo
(ma non è già congiunta,
mah,
e questa volta mah lo dico io),
quando magari
non sei più tu nemmeno
(io credevo che alla fine lo trovassi
me stesso
non lo perdessi,
continuo con i mah,
no dai,
faccio uno smile da sms),
quando percepirai l’assunto
e lo comprenderai in contemplazione.
Con fumetti
persi tra i denti
che non mostri,
nel momento che sostieni
il campanile trecentesco
ricco di scritte,
ah gli artisti di strada,
ci pensano già loro,
tengo nel palmo il tutto,
porgo il patrimonio decumano,
parlo invano.
O infine canticchiando
di nuovo, nell’istante
in cui ti scuoti,
fulgente neopalestrina
riproponi i tuoi contrappunti
gotici.
Scenderà la foschia
in pieno luglio partenopeo
per serviti
un paesaggio condito
e tundreggiante
sottomesso ai tuoi voleri,
poi un ululare scandinavo
sarà indipendente
dal suono germanico o vittoriano,
sarà quasi similfinnico.
Nell’ipotesi cambiassi idea,
sai dove trovarmi,
porgimi gli affanni in assonanza.
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