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BLOG "http://dichter.ilcannocchiale.it/", AUTORE DEL BLOG DOTTOR GIOVANNI DI RUBBA. GLI SCRITTI, IN LIRICA ED IN PROSA, PRESENTI IN QUESTO BLOG SONO OPERA DELL'AUTORE DEL BLOG, DOTTOR GIOVANNI DI RUBBA, E DI SUA PROPRIETÀ. |
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21 giugno 2016
Fuga
Prendiamoci per mano
e chiudendo gli occhi navighiamo
traversando correnti di mari lontani,
ed anche se più tardi del previsto
al fine giungeremo sulle rive
calde del nostro mondo.
Poi, senza remissioni,
ascolterò parlare per davvero
il tuo candido cuore
che, anche se in silenzio,
mi saprà dire cose
che tu non hai mai detto.
E sarai già brilla,
le tue parole fuoco e argento,
sole e vento
dalle corde vocali.
E sarai ancora più bella,
il tuo vestito dalle bordature viola,
non ti sentirai sola.
Dalla sera alla mattina
non avremo più paura
ed il nostro spirito più vero
darà corpo al pensiero
che, brulicando tra le rovine,
sarà più libero di quanto credi,
urleremo sino a tardi.
E poi verrà la notte
e tu sfinita cadrai sul guanciale
con una forza animale.
Ed io cogliendo l'attimo
carezzerò la pelle,
soffici saranno le stelle
che dai tuoi fuochi accesi
cadranno più cortesi
sul mio braccialetto.
Illumineremo il cielo
con un arcobaleno di diamanti
dagli zigomi striscianti
che toglieranno il vero,
il buono e il giusto
dalla nostra mente,
zigomi di serpente.
E, come dei bohemiens,
non ci cureremo del passato
o del futuro,
vivremo coscienti
solo di essere noi stessi.
Ma non sarà poi il giorno a svegliarci
col suo soffice e sottile filtro di luce,
sarà un repentino mutamento
della temperatura del nostro corpo.
Saremo ancora mano nella mano
e i baci, baci, baci
investiranno il corpo
come sopra come sotto.
Però la nostra forza tremante
cadrà sconfitta a terra.
Il circolo ondulatorio della testa
intorno ad un oggetto fisso,
che poi è lo stesso,
ci renderà più lenti
nei movimenti.
Il flusso di ricordi
sarà annebbiato da dimenticanze
a vivide alternanze.
Le nostre ali spezzate
saranno rinnegate
dagli altri
ma risorgeranno dal nulla.
E la fonte blu cobalto
stenderà sul tuo smalto
uno strano desiderio.
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5 febbraio 2016
Schiarisce il buio
Schiarisce il buio,
tempesta di diamanti
il sogno sordo
della mia memoria
e il vento del silenzio;
così,
per ricordo lucente,
e così,
per principio assente,
rivedo lontano il sussulto
mancato
ed il sussurro sciupato
per entrare nel vivo
ecco che amplifica il suono,
esplode
a notte inoltrata
la bolla del senso
e rivedo
il tuo volto
temeraria
principessa
divina del mio
melodico accenno stonato.
Prorompe,
prorompe
lo squillo
assordante,
preludio
dell’adagio flebile
sentimento
e saliamo le scale del tempo
come naufraghi eroici
dai mille diademi
maledetti
e sei splendida
come sposa del biblico cantico
e torre di gaudio maestosa
ed avorio dei denti lucenti
e progenie del fato dilettissima
ed occhio d’incanto
ed ammaliatrice come maga
tramuti i miei sensi in bestiole dolci
come lira pizzica il tuo spirito
l’anima mia perduta in te,
come riflesso di luna posata
su specchi infiniti
il sognato tuo abbraccio,
come amarena ed assenzio le tue labbra
desiderate
eppure che so tanto leziose,
fatte d’ambrosia, mirtilli e nettare
dea perfettissima.
Ti penso.
Ora silente
è tutto,
solo
l’ombra tua
ciò che ho,
tiepido ardore
e lo sbocciare di un sorriso
appena appena accennato
mentre scrivo e la penna
ed il fumo
e tu qui assente ancora
riappari furente
posata lieve sul manto sidereo,
mia amata di sempre
ed io che ti do,
parole su parole
ed assiomi
scardinati
e poi me,
e ancora tu,
motivo
e luce
del mio suono
e vestigio d’incenso
il tuo vello,
altera
ti vedo
ancora lo dico,
terribilmente
assente
ma fugace immago d’assoluto,
senso ultimo dell’esistenza
ed ancora sovrana,
capretta cortese
dei respiri arcadici
e dei vivaci accenni
di stemperamenti
in ortensie
ed in viole
e in zagare
ed in gelsi
ed acacie
e nel resto sovrana
coi simboli sottesi
al tuo mutamento
statico e perfetto,
riluce
e traluce
la storia,
sapessi quanto mi prendi
te e come sei
tutta stupenda!
Vaneggio
che non fu
ma desio speranzoso,
sboccia
come verdura anzi tempo
respiro d’inverno
pensarti onda sottile
nei sobborghi del mio esistere,
rosmarino,
senso di tutto e tutto ad un tempo,
essenza dell’oggi
e muto il verbo
cresce d’intensità
sogno desto
e maledetta
nella tua perfezione,
dimmi ancora qualcosa,
tripudio
di suoni
è il tuo nome.
Sogno te,
penso a te,
vedo te,
chiedo di te.
Anche se ai margini
dello stordimento
pregresso
il tuo volto mi è tutto,
il tuo corpo il velluto,
il tuo manto,
il tuo cenno,
il periodo sospeso,
l’ode all’altrove.
E splendi ancora
fulgida essenza cromatica,
biancheggia
candida
la mia eterna
maledizione
nel pensarti
così
sincera
mia principessa
risveglio in notturno fragore
e sei ancora il mio trastullo
dell’intelletto
il fiore più candido
del giardino del mio cuore
ciò che non osi
nel canone inverso,
quel comporre sordo,
quel chiarore
musicale
ultima
tempesta
della ultima mia volontà.
E tanto m’è caro,
tanto,
la ripetizione
del tuo splendore
in canticchiare balbettante.
Come latte amarena
boschiva.
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17 gennaio 2016
Sgocciola il ricordo del futuro
Sgocciola il ricordo,
pianto
è l’illusione
di un giro contorto
perso tra visioni,
versioni,
incursioni,
andaluse stanze,
piazze
in giro tramortite.
Così
misi la fine
la mia
quando
sognavi ancora e poi
credevi
all’ultima intrapresa
resa
come
inizio e dignità.
Ancora e ancora,
solo l’aurora,
resta il tempo
maledetto
del ricordo
ieri vedo
ciò che dico
e raccontai
tra l’intervallo
primo e questo.
Così,
sarà così
che tu
struggente,
la stessa,
la vita
di quando
a un palmo
ero distante
e tu così vicina.
E canto
e cantai solo di te.
Tormenti
intesi,
sussurri
gli anni passati
ormai finiti.
Eccoti
qua,
cambiata e sempre tu,
ragazza che raccoglie in sé
l’armonia tutta,
l’umanità intera
ed ogni altra non è
che parte di te.
Eccoti di nuovo
nella mia memoria
stesa su panchina,
mi ricordo!,
dicendo sai,
discorso
prezioso,
tu ricordi il nostro tempo
al confine
dell’universo
intero;
esso era
ed è ancora
nei tuoi occhi
che sai
e sai il tuo nome
e dire
sì, è questo,
scoperto il suono
sull’atlante
ma dopo
il gusto
io scriverei la stessa cosa.
Il segno del ricordo.
E tu continui
Bea con la lettera d’inizio,
ossia lì alla fine della musa
di bellezza,
che ti rimanda
al boschivo
cirro tra porpora e arenaria
e all’occhio lucente
metilene e cobalto,
ma sfumato e profondo.
S’arena dunque l’alma mia
come lucente al trotto
del giro commosso
e ridicolo
e s’arena ancora alla tua vista
splendente
che sembri trafitta e risorta,
che sembri andata
ma col vigore di allora,
che ti amo ancora in diecimila
intensità diverse
ed amo il tuo corpo
soggetto a mutamento
e più muta più l’amo
più penso
ad allora,
l’estate e quanti anni!
Quando cominciò
come valanga ora immerso
nel fango,
in sedimenti irrecuperati
e irrecuperabili
o tu mia luce,
quanto di te ricordo
e prima ancora dell’immagine
la voce
e prima ancora il suono
e il sibilo anzi ancora
quanto m’è dolce.
Quanto mi è dolce il tuo volto
che si scrolla
e tutto nuovamente smuove
e non solo in me
ma traballa in mille serie multiformi
tutto ciò che è attorno.
E dal corpo all’alma tua,
quella ancora più viva
quella tua maestosa alma
alla tua statura parva
che ingrandisce l’orma
di te
in un tripudio
dell’immenso
e l’alma, l’alma
è l’alma
sei tu splendida!
La tua alma dormiente
che subito si sveglia,
la tua alma che ti è e ti rende
e tu divieni
dunque
immortale alle genti
e l’essenza
traspare
e languisce,
la vista inebria
e la mia parola si arresta
tu verità dalle tante ragioni
e dal cuore di tenebra,
incanto del domani
il nostro passato.
E ti rivedo
e ti sogno
riletta ovunque
e ovunque
una persa
ricuperata
e intensa.
E lo spirto
più ancora
è il tuo verbo
di cui ho detto,
e che lascio al silenzio
nella preziosità della tua assenza,
a me forse più prezioso
ma adornato
ed agghindato
se mai risentissi
o concessomi farlo
divina che ometto la i
mettendola in eccesso
come alle terme
perché la mia è incompletezza
e la tua perfezione.
Ah sapessi che fai,
sapessi parlare
o scrivere
o dire
o segnare nell’aere
o nel segno tuo stesso
di ieri il completamento
quanto lontana mi è la vita,
quanto le cose,
quanto gli affetti,
quanto l’amore,
ma ragazza di un tempo,
indelebile mia compagna assente
di questi ultimi miei anni,
sapessi vivere
vivrei di te.
|
2 gennaio 2016
Il respiro del tuo viso
Il respiro
del tuo viso
l’ultimo orizzonte
dalla sabbia scosso
nel silenzio
che alberga muto
in me,
oramai non c’è
che l’illusione,
quella croce
rosea
del cuor
deluso
dal peregrinare
stanco
tra note d’assenzio
come tra me e te.
Silenzio.
Ed il respiro aumenta,
tenebra sull’asfalto
è il mio sogno
che scarno
svilisce in sé
solo per
contemplare
l’immagine riflessa
di te immobile
alla parete
deserta
e tantrica
inversa
muro d’oblio
e sei tu già qui
attesa amica,
sai ciò che non dici
perché nel vuoto
dell’esistenza l’ultima trama
è la mia.
E tu sorridi
terribile
la mia delusione
nel vedere
l’ombra tua
che si allontana
e tenebra ancora
è ora in me.
Quando allegra dici
senza parole o pronuncia
che
sono al di là
della comprensione
e per ciò stesso
steso,
chiaro, evidente
al di là
del piacere
è la mia apparenza
come ostacolo
inutile,
inciampo,
voce sorda
e naufrago
al tuo sorriso,
inutile
sono frastuono
fastidioso
ma tu sei lì
anche senza me
docetica
come mandorla
dischiusa
sei perfetta.
|
31 ottobre 2015
Berecyntia
Memorie
oscure (dialogo notturno)
"
nobiltà nata nel fango
alto
disonore!"
intrepido pullulare ardente di
passione, gaudio genealogico ed
intenso, scosceso sentiero di
verità
celate, disonore
intatto,
nobiltà
spezzata, fare altero
evidente ed indissolubile.
"
Angelo di bontà conosci l'odio,
i
dubbi terrori di quelle orride
nottate
che comprimono il cuore
come
carta spiegazzata?"
conosco
il lento venir meno dei demoni incantati che gioiranno fragili
all'ascesa
dell'oscurità celtica,
che
aspettano impazienti che un veltro
li
trapassi
e
li scrolli docili verso l'infinito.
rev:
"Oh
notte senza stelle, oscura notte "
tiepida
risplendi luna pallida mentre contemplo la tua immagine riflessa sulle acque
"La
notte irresistibile, la nera umida notte, la funesta notte di brividi percorsa,
ormai consolida il suo dominio"
e
le celtiche genti indomite danzano sotto il lampadario minuzioso e fioco di
speranze mentre si eclissa l'ultimo barlume e l'occidente cede il passo alla
potenza oscura
Immago
a tarda sera
Sguardo
inclinato verso il sole
proteso
all'imbrunire il tuo ardore
che
già sul mio corpo
è
notturno tepore
indiano.
Dolci
sono i tuoi occhi al far della sera
incanto
gelido il tuo leggero abbraccio
sogno:
vederti tutta splendida
l'entusiasmo
dà forma a questa immago eterna.
O
pensiero che falco su cime s'innalza,
a
due passi dal docile viso scomposto
in
eterno pensando al dolce sguardo maledetto,
superando
i confini del tempo alla fine sentirai
il
dolce suono, vento tra capelli.
Intorpidito
da te
intorpidito
da te
e
dallo sguardo silente
di
ricordi sbiaditi
e
tesi al vento
è
un attimo
e
compare multiforme
la
tua figura
in
un sussulto intrepido
vorace
e dolente
sono
solo parole
che
si arrestano dinanzi
al
tuo incauto gesto
folgorante
e
resta il tuo docile volto
indissolubile
Gelido
cobalto
gelido
cobalto
dipinto
di assenzio
in
gaudiose vittorie
etiliche
incantate
dal supremo colore
intorpidito
dal pallido
incarnato
che cede alla sera
i
misteri,
al
chiaro contatto
di
un raggio di luna.
Apparenza
terribile e lucente
apparirà
sintetica,
intraprendente
lemma silente,
apparirà
un
tepore nel cielo
senza
preavviso,
dico
sul serio
stringendo
nei pugni
il
tuo velo sospeso
di
inquietudine
cambierà
tutto
come
solo
un
arido sentiero
ha
breccia
nella voce
dimessa,
un po' cupa,
nostalgica;
intorpidito
ogni furore
sono
strade,
intenta
al suicidio
di
catrame
che
sfiora ad ogni ora
il
tuo buon umore,
e
senti dolente
il
mutamento
della
pioggia.
Ricordo
fulmineo
dagli
occhi incauti
mal
dimessi
al
silenzio
loquace
come fluido
diluito
e
tenebroso
di
pensieri impuri
che
m'invadono
e
che si inchinano
al
tuo apparire
furiosa
in
estasi per un ricordo.
Fede
notturna
Il
capiente cofanetto
di
gioie perdute
sperso
tra rime
che
solfeggi sussurrati si fanno
sbiaditi
tra le dita.
Pensieri
stanotte
di
fughe astrali,
storie
da seppellire nell'oblio babelico
mentre
si impone pallido e scarno il tuo volto
spinto
dal silenzio dell'ultima nota addormentata
sui
tuoi seni disillusi aneliti di vento.
Ritorni
assopita
mi
guardi stupita,
il
domani dell'oggi è figlio del mio desio
e
il cuore indelebile su carta tracciato.
Sonnambula
silvana
L'inverno
sboccia dai rami,
scende
rugiada nottambula
ad
occhi sciupati
svogliata
sorprendi,
è
già ora.
La
storia, la nostra,
non
la racconto io,
soltanto
tiepidamente la sfioro
per
non svegliarti,
ma
riapri gli occhi a fessura
sei
tenere tra le mie mani
dolce
bocciolo silvano.
Gaudio
improvviso è madore
sul
tuo corpo sigillato,
effluvio
e vento tra fronde inerpicate
di
capelli furenti.
Ecco,
si
cristallizza il momento,
tu
voltata verso il mare d'inverno,
la
veste di lino traspare
inaudita
precipiti tra braccia indolenti.
Fuga
Prendiamoci
per mano
e chiudendo gli occhi navighiamo
traversando correnti di mari lontani,
ed anche se più tardi del previsto
al fine giungeremo sulle rive
calde del nostro mondo.
Poi,
senza remissioni,
ascolterò parlare per davvero
il tuo candido cuore
che, anche se in silenzio,
mi saprà dire cose
che tu non hai mai detto.
E
sarai già brilla,
le tue parole fuoco e argento,
sole e vento
dalle corde vocali.
E
sarai ancora più bella,
il tuo vestito dalle bordature viola,
non ti sentirai sola.
Dalla
sera alla mattina
non avremo più paura
ed il nostro spirito più vero
darà corpo al pensiero
che, brulicando tra le rovine,
sarà più libero di quanto credi,
urleremo sino a tardi.
E poi
verrà la notte
e tu sfinita cadrai sul guanciale
con una forza animale.
Ed io cogliendo l'attimo
carezzerò la pelle,
soffici saranno le stelle
che dai tuoi fuochi accesi
cadranno più cortesi
sul mio braccialetto.
Illumineremo
il cielo
con un arcobaleno di diamanti
dagli zigomi striscianti
che toglieranno il vero,
il buono e il giusto
dalla nostra mente,
zigomi di serpente.
E,
come dei bohemiens,
non ci cureremo del passato
né tantomeno del futuro,
vivremo coscienti
solo di essere noi stessi.
Ma non
sarà poi il giorno a svegliarci
col suo soffice e sottile filtro di luce,
sarà un repentino mutamento
della temperatura del nostro corpo.
Saremo ancora mano nella mano
e i baci, baci, baci
investiranno il corpo
come sopra come sotto.
Però la nostra forza tremante
cadrà sconfitta a terra.
Il
circolo ondulatorio della testa
intorno ad un oggetto fisso,
che poi è lo stesso,
ci renderà più lenti
nei movimenti.
Il flusso di ricordi
sarà annebbiato da dimenticanze
a vivide alternanze.
Le nostre ali spezzate
saranno rinnegate
dagli altri
ma risorgeranno dal nulla.
E la
fonte blu cobalto
stenderà sul tuo smalto
uno strano desiderio.
Berecynthia
Nube
d'assenzio discende lieta sulle tue forme perfette, un nuovo giorno avanza e si
dipinge lo spettro della vita tra storie colme di verità, anzi la venuta di
mille colori esplosi tra i rami spogli, un desiderio, rompe ogni attesa e si
impreziosisce la tua fragilità, un simpatico refolo ti schiarisce la voce e la
realtà bianca e pura è il tuo potere, il solito crescendo tra le foglie è
l'apparenza dei tuoi capelli di rame, dei tuoi sogni innocenti e dei tuoi cenni
perversi di generalessa alla mensa del sapere con l'elmo e il candore di parole
ferme e frementi mentre scorre il tempo e resti la ragazza di sempre, la
dominatrice di ogni sussulto e di ogni canto.
In cima al monte bendata sei il refrigerio dei miei pensieri, la fonte dei miei
desideri, passano i mutamenti, ritornano all'origine anche quelli, ai ricordi
dai forma e vita, unito al cielo il tuo fiato gelato, congiunzione dello
spirito tra labbro e fronte, segnali occulti tra i righi, spazi che colmano le
indecisioni, chiavi svogliate e da te sincronizzate, mantieni il tono di voce e
impassibile ti addentri tra i tuoi trastulli artistici, creature immortali alla
tua sinistra, stendardi e simboli a destra, mille diademi e l'assoluto poggiati
sul capo, sospeso il giglio e l'acacia tra i denti, il leggio lì innanzi emana
leccornie d'incenso, è tutto pronto, ogni cosa al suo posto, inizia il folle e
ardito sbarco.
L'attimo di silenzio è riprodotto dal verbo muto, l'aura alle tue spalle si
infiamma, si inerpica il violaceo riflesso, tutto è stato detto, togli il velo
del giulivo e del tragico incanto e si arresta il flusso, si intorpidiscono i
sensi, voci lontane sono un unico coro e la linea delle cinque sostanze
un'unica barriera di forza, l'uno invisibile diviene percepibile.
...ed
ora, reduci da quest'ennesima
crociata
siamo
striscianti ma con gli occhi al cielo...
|
23 ottobre 2015
Notte ai Decumani
Notte ai
Decumani
la consorte
del principe di Venosa
coperta solo
di lenzuola
maledice i
madrigali verseggiando,
barlume
corneo nei suoi occhi.
Sansevero
miscelava arsenico
e belladonna
sulla tela
poi come un
caimano piangeva,
da cura
sforbiciata per il plasma.
Vorrei
bruciare l’odore
dei pallini
d’incenso in combustione
privi di
allori e seducenti,
il venditore
di giornali sembra
aggiudicatario
battitore,
picciola non
dimenticare
di
trasmutare la morale.
Croce
diplomatico mancato
estetizzava
estasiato in biblioteca,
l’arte è una
parte,
direi però
la fondamentale,
la molla
della storia
e del
circolo perverso della gloria.
Patteggiamo
col divo Nerone!
E l’era dei
fumetti
letti in
piazza
tra il
gomito e la tazza
di solfuro
intarsiata
stracolma di
folla indispettita,
cicche
fumate a metà.
Varia
l’effige!
Bruno
studiacchiava
nel chiostro
e si distraeva,
poi buttava
all’aria le icone
dei fratelli
e le
sostituiva con scritti
babilonesi o
neoplatonici.
Virago celtica!
Ed affinché
non
dimenticassimo le beffe
con le
cornamuse contuse
facemmo il
verso al gesso
del docente
inconcludente.
E spaziamo
con la danza!
Vai là,
ondeggia a
sinistra o di là,
vai già
più lenta
della musica,
ritmata la
tua scorza di limone,
candito
inflitto a
pizzico di dito.
La violenza
fu sconfitta
con un bacio
in palafitta
dell’invasrice
indoeuropea
ancella di
Brighid,
era un’epoca
remota
ma l’edenica
scena
non fu mai
più riproposta,
sono fiori colti
nel deserto
e tradotti
in sanscrito.
Voilà,
non manca
fumo pel digiuno,
voilà,
c’è cenere e
amore se ti volti di là,
il capo
piumato è scolorito
allora
rinunciamo all’allettante invito.
Nella notte
si cacciava
per
maledizione
non ci si
nutriva più
solo di
frumento e bacche,
la simpatica
ragazza
faceva
l’occhiolino
ed
incrociava le braccia.
Sai già,
conosci il
nome del silenzio,
vuoi avere
le cartine al tornasole,
le patrie
senza limiti e frontiere.
Le musiche
non cambiano
da popolo a
popolo
c’è
comparabilità nell’identità
perché
l’essere diverso
si
identifica solo con l’incontro
e col
confronto
ed acquista
così unicità.
Mi conceda
infine l’ultimo passo di danza.
|
26 settembre 2015
Emisfero di passioni è la ragazza mia
Emisfero di
passioni è la ragazza mia
ed ogni
quesito d'universo spento
ripudia
dolor nell'estroso passo,
talora
guarda al dipinto plurale
dell'erba e
del soffice manto
austero nel
canto cadenzato
e raddrizza l'inverso
fragoroso
della vista
quando, miserrimi,
celebrammo
la ventura dell'oscuro.
Talora lei
simpatica,
quando le
fisso le mani
abbassa il
viso
ed è come
voragine il
mio core,
come
tempesta il mio sentire,
tutto
trasmuta in trascendente
e non v'è
figlio di Cristo
che non
senta il pullular
di una
scolastica passione,
il vincolo
sovruman
della
femminea intenzione.
Allor si
chiede all'ombra
ristorato
un corpo
innamorato e tutto
perso
se da un
solo cenno
si può
carpire il color
dell'immenso,
le fugaci vie
mancine,
i dardi e le
stelle
che in
gomitoli di costellazione
fanno l'eco
al grappolo
vistoso della sua
silente
immaginazione,
del suo
sorriso.
Sembra che
la temperanza
vinca la
empedoclea
confusione,
la scissione
dell'armonia
tutta in
faville
quando per
la tensione
si respira
guerra
che dir 'sì
santa
è offesa
all'anima
creatrice.
E lei,
perciò,
è l'unica
salvezza,
o genti
mortal
gettate al
vento il mantello,
ficcate
nella rimembrosa roccia
l'acuminato
stendardo,
lanciate
l'elmo,
che 'sì
tosta virtù
mai per
disdegno
ha carpito
il senso mio.
Come il
pittor
talvolta
naufrago
rimugina
sull'algoritmo
fitto
del Fato
per trovar
la giusta quadratura
al cerchio,
tal io son
rimembrano e contemplando
la sua gioia
diurna
e furente
nella notte
quando
l'occhio dilata il suo vettore
e tenue come
foco rissoso
sfavilla il
suo pudore,
splendore!
Non negate
spiriti
a cotal
figliuola
che tanto ha
sofferto
e tanto
amato
la grazia
dell'immenso.
E tieni
conto
o
Misericordioso Lume
che pur se
lei ha negato
il tuo
dominio
l'occhio
ruggente e celeste
suo
a te ha
condotto
me e gli
altri innamorati
profughi nel
vuoto
infinito
dell'immenso.
Non
sperderti dunque,
o mia
canzone,
ma per li
cortili e i vicoli,
le reti
ingorde
e le
prolisse rive
spargi il
suo nome
e per desio
cedile il
posto
nel più
melodioso cerchio.
|
8 settembre 2015
Alma incantatrice
Il mio cuore
innanzi geme,
sorge una
stella nel tramonto.
Alma
serafica
sorgente
pura del mio
spirito,
dentro me
sospiri
e
candidamente scosti l’aria,
che
movimento puro,
che
disincanto sospeso,
che pensiero
disilluso
amor mio,
la vita non
ci dona
la candida
rosa,
la scorgiamo
solo da lontano
come emblema
del nostro
cuore.
Il sapore
del vento.
E ticchettio
mio dove sei?
Amore livido
e seducente,
dove sei mia
attrice,
lunare
effige plastica,
ciondolo
siriano al collo,
mio speciale
barlume lieve,
tu dispetto
buffo,
paonazza e
bronzina gioia,
goccia
vespertina,
acrilico
scardinato
ma
possentemente intriso,
musica dolce
nelle vene,
sole
notturno e gelido,
melodia
stampata indelebile
sul vetro.
Sorge una
stella nel tramonto,
ti amo credo
e te lo dico
senza perifrasi,
tanto è come
staccare un fiore
ed
annusarlo, lo sai che preferisco
contemplarlo
e immaginarne l’odore,
ma stasera
sento un tepore
che dai
polsi mi invade la schiena,
scende a
perpendicolo
e mi scuote
il capo,
ti prego,
vieni qui con me,
sogniamo
insieme nella radura,
so che ci
sei,
so che
verrai,
se sei
mancata a tante albe
non potrai
dimenticarti di me
proprio ora
che riscende la notte,
sì so che
verrai,
sarai qui
appoggiata
alla mia
nuca,
noi di
spalle
gli un
gl’altri
a guardare
il cielo
e poi
chiudendo gli occhi
a
raccogliere l’attimo profondamente,
trattenerlo
e non perderlo più,
per sempre
insieme.
Per sempre!
Sorge una
stella nell’aurora,
senza di te
la rimiro e penso,
dove sei ora
ormai non lo so,
né che fai,
tempio
d’Egitto
e
principessa della progenie
arcadica
saggia e caprina!
Sorge una
stella a metà notte,
vago in
speranze lontane
con te
distante, mi volto e piango,
tu non ci
sei,
sono
assordato da questo silenzio!
Sorge una
stella non so dove
ed alzo le
mani,
saluto e
scanso le foglie caduche ,
ti attendo e
mi asciugo gli occhi.
Tu intanto
presente e apparente,
guerriera
prima,
amazzone,
eco lontano
rimbomba tra
le stalagmiti,
odore di
fumo e tamerici.
Nostra dama
sull’orchestra,
oscura e
funesta
l’attesa
dei tuoi
occhi,
solo per
rimirarli,
pragmatizzare
nella realtà fuggevole ed avversa
il mio
eterno sogno tutto nuovo
e dipinto.
La gabbia
dei sinceri addii
che tristi
rotano lì intorno,
la fiamma
dei cabalistici ulivi.
Follia e
Dionisio,
vivi nelle
vene
e nella
scure,
amore
bazzicante.
Sento la
forza arcana,
la potenza
ancestrale,
la violetta
scismatica ragazza.
E poi
l’incanto dei pensieri,
scuri dal
sapore lieve.
Vocetta,
dici a tua
volta,
il maestrale
nostrano
non è la
furia scandinava
dei tuoi
servili temporali,
succubi
domani deleteri.
Sei stupenda
scandita
dalle percussioni,
sbellicata
dagli archi
e dai mesti
sultani
che si
inchinano
e che
fremono al tuo giacere
assisa in
firmamento.
Io sono qua,
l’alba
dell’età,
l’anima del
sagrato,
l’ombra del
segreto.
E non ho le
seducenti mani
a tempo sul
ripiano,
sgomito
nell’altopiano,
banalizzo i
sentori
dell’incauto
oltraggio.
Sei di
sbieco senza fiato,
sei svilita
e xilofonata,
spiega e
metti in piega,
subisci pure
gli odori.
Sento un po’
la pioggia
e non ho
quel gomito carnale,
quell’archibugio
astrale,
quel
rimpianto sconfitto,
quel petto
trafitto.
Lezioso piatto
imbandito
non è
eclissi il sole nero,
l’atomo ultimo
del vero.
Ti ricordi
ancora,
ho lacrime
d’assenzio,
germoglia lo
smeraldo,
travalico i
monti,
ti guardo
negli occhi,
la mia testa
sul tuo pallido petto,
rosa
ebenacea sul mento
e cuore in
fermento.
Oh godo alla
vista della luna,
oh godi al
verbo incarnato,
trasfigurata
effige catara,
provenzale
sonata,
tubinghese
teologia,
atavica
pazzia,
orda
indoeuropea stanziale,
vitello
d’oro,
taurino
messaggio,
belante
miraggio,
allucinato istante
bendato.
tu,
specchio,
valvola
trascendente,
tasto
d’avorio,
scala in si
minore,
giro
ossessivo,
armonica
compulsione strumentale
e la testa
sotto il cuscino.
Tu,
tu già lo
sai,
sulla sponda
del molo
sfoglierai
la luna,
oh frastuono
di miele,
oh onda
spumeggiante
e lastrico
di schiena bianca,
tondo
violetto,
clavicembalo
alato.
Starei con
te
guancia a
guancia a fissare
impietriti
il mistero,
e arriva il
do,
ho voglia
delle tue labbra,
mentre
sussurri
nel mio
rimpianto onirico.
Oh, i tuoi
capelli sul mio petto!
E non hai
l’ortica istigatrice
sul ventre,
continui.
Sarà il
nostro segreto
l’aurora,
vaneggi
mentre protendi
il tuo dito
serrante
sulle mie
labbra.
L’albero
esplode,
è ciò che mi
preme
divorare la
sapienza del bene
e del male,
la contemplo
e non oso
per pudore
e folle
bramo ancora
vigore nei giardini,
sono tuoi
gli altarini
miei e tu
altera
sogno mio
sogno mio
impossibile
e tu tanto
vera,
tanto
carina,
tanto
profonda,
tanto
carnale,
tanto a
portata di mano,
tanto dolce,
tanto
splendida,
stella del
tramonto,
luce
dell’aurora,
sussurro
dell’eterno.
Ascendo tra
le foglie,
sono
superba,
strafai.
Astri
estrosi
incrociano i
nostri sguardi
mentre li
orchestriamo,
accordiamo
le falle,
nessuno può
fermare
il nostro
palpito furioso,
mai,
la tua veste
candida
verde sotto
assedio
giglio,
mistero di
vetro è questo,
cristalli
condensati nel tempo
e rimessi al
vento,
rimessi al
senso,
assi e travi
urbane
a sostegno
dei giorni,
paonazza
sei, ragazza,
affronta i
ridenti,
angosciosi
fermenti,
lividi
inospitali
sul polso
violato,
docile
riporto,
matematico
sfregio naturale,
vasta
alleanza sui binari
dalla fiamma
antica.
Bacchetti la
corda
con forza
tra le nubi,
vai mia
piccina instancabile,
continua a
suonare,
le carte le
puoi giocare tranquilla,
sono
paziente,
squarcia il
velo orientale
dell’illusione,
e sorgi luna
in luogo del
sole,
ridona la
potenza
alle selve,
riaddenta la
mela,
volgi lo
sguardo alla luce,
alla
ortensia
alla viola
ricordo,
un lieve
sentore
sobbalzerà
in te,
serva e
padrona d’assoluto,
maestra e
scolaretta,
demone
angelico.
Astri
estrosi
ruotano
intorno
mentre
scriviamo,
il piano
stonato,
la vita
nostra sintomatica
svilisce il
potere superbo,
sorge per
sempre
il bagliore
pallido,
nell’abbraccio
possente
fondiamo e
creiamo
staticamente
la sostanza.
E di notte
lontana tu,
tutto
finisce,
tutto
inizia.
Avessi fiato
parlerei di te,
avessi voce,
abilità, scrittura,
parlerei di
te,
avessi senno
scriverei di
te,
l’intelletto
mio sulla luna
e rabbia
cieca
nell’impotenza
della realtà
avversa.
Magari in
barca
parlerei
solfeggiando
il golfo
costeggiato
ed ingolfato
veicolo
stellare,
la sabbia
che sporcò la stiva,
vestigio
umano
del ricordo,
padroneggi
con rispetto
il mio
timone alla deriva
naufrago,
nocetta
buffa,
vocetta
candida e serpentina
cassi le mie
casse
con rinvio,
formale l’errore
illogico il
dolore,
manifesto
marxista infondato.
Accendi la
siga e tiri sorridendo,
il tuo fumo
appanna i miei
occhi
portali,
in sogno
portuali
appigli
sepolti
e sepolcri,
spogli nichilisti
da canarini
che tu sai,
sbottoni la
camicia in trance,
meditazione
ondulata,
e già!
Dagli un
nome a ogni creatura,
va be’
questo proprio no,
il suono
fonetico deriva
dall’onomatopea,
fumetto
primordiale e astrale,
studi la
parola e allora
perché
babeli ancora?
Il gruppo
clanico
cambia forma
non sostanza
né apparenza,
vedi
l’allitterazione
tra suono
naturale
e pronuncia
umana vocale,
costante
consonante,
impronunciabile
e sonante,
il nome di
dio lo puoi intuire,
e la disfatta
mia evidente.
Un altro
paio di tiri
perché me ne
lascerai due,
già lo so,
mi offendo
così però,
contrasti la
trinità,
la verità
non è duale
o manichea,
ma unica
perché il
dispari alla lunga
fa unità,
l’infinito è
un otto capovolto
(direi tosto
disteso e sognante),
pari ma
impari
dunque
impuro,
cadi in
contraddizione,
accendiamo
un bel falò
e ammettiamo
l’inesistenza
del pari
allora.
Piangi ma
che fai?,
ti disperi,
in realtà mi
accorgo
fingi e poni
il piede sinistro
in avanti
il destro
ben saldo
e dai fiato
al fumo:
esiste tutto
quanto,
il pari in
realtà
è disparico
in disparte
quindi
dispari se si completa,
dunque il
pari è parte
del dispari
risultante
e di
conseguenza l’infinito
finito
incompleto.
Ohibò!
Quotidiana,
essere
divino e tanto quotidiano
e familiare,
seppur
lontano,
lontano
evanescente dolore spento
rosa
dischiusa in silenzio,
dolce
effusione
mentre fissi
la tela.
Vorrei
scrivere effluvi,
vorrei
partecipare al simposio
tracimando
lo spirito.
Sognami.
Sognami.
Sognami.
Quel canto
elevato mi scuote.
Granelli
tanti
quanto i
giorni in giovinezza.
I segni del
tempo
sul volto
cedono
alla potenza
del bello.
Le palpebre
sbattono al vento,
portoni di
cortine incartocciate,
sbadate e
sincere
mentre
studio i tuoi sguardi
di sbieco,
tu assisa
sul bordo
della fonte
centrale.
Ragazza
guardami ancora,
sono nel
punto genealogico
delle realtà
oniriche,
ditirambica,
filippica,
estrosa e
sofista.
Tu,
prediletta dai numi,
il mio fiato
è per te,
io frollerei
solo
per un tuo
fugace accenno,
uniti,
indelebili,
te lo
ridico, sei la voce
che da corpo
ai miei pensieri,
la tua
essenza mi guida
solingo con
verga e lanterna,
ed io non
posso tradirti
o
abbandonarti, non voglio.
Sussurri
come brezza d’inverno,
la tua voce
non copre il gemito,
ecco il mio
cuore!
La mia anima!
Il mio
spirito!
Il mio corpo!
Materializzati
allora
dolce
eterea,
la tua voce
intensifica il suono,
diviene
strumento essa stessa,
e allora
destreggi purità e sorridi.
L’incubo mio
si raddolcisce
in un
istante,
l’eremo tra
la vivida
vegetazione,
l’ermo
domani.
Imbellito il
vascello
dei
pensieri,
l’ultimo eco
è risuonato,
dardi di
fuoco in campi di spine,
non diamo
spazio abbastanza
all’incanto
del dominio
senza armi e
armature,
con egide
dagli occhi gorgonici,
nemici
atterriti,
la spada del
verbo,
la ruota
dentata
con te
minacciata.
Vai senza
aspirare,
fuma
tossendo,
precludi un
assedio,
tranquilla,
l’aurora è vicina,
già vedo
venere e luce
dell’angelo
ribelle,
già vedo il
fuoco
e la
maledizione, il grifone
che rode la
bile,
incessante
il dolore,
ciclico il
riapparire
con fasti
dionisiaci,
con mandrie
gelate,
o dissi
offuscate,
il frutto e
la conoscenza,
cioè
consapevolezza
e libera
scelta.
Poi il
brivido dorsale,
certo ci
vuole,
e ti affanni
a rinsavire,
vorresti
trovar la formuletta
anche per
questa sconfitta
benedetta,
(e sto parlando
di me,
ricorda,
mia
simbolica alma concreta
riflessa)
allora tu ti
alzi austera,
aspetti i
canti di gloria,
le sonate
del furore popolare,
dell’arca
trainata,
tale sembra
il tuo
perverso
sortire.
E mugugni
trasognando
nel vuoto
della stanza,
la radio a
mille,
a mille il
cuore,
lo tracci un
sorriso,
cominci ad
inveire,
a spegnere
il verdetto di fuoco
coll’umore
del corpo,
ti arresti
improvvisa,
la pelle che
freme,
la luce che
accenna,
spegni la
lampada,
scaldi le
gambe col fiato,
slanciata in
avanti
coi muscoli
tesi,
gli
occhietti furbetti,
la piazza in
fermento,
l’odore di
polvere e vento.
|
19 agosto 2015
Acustico intruglio
 (Marcel Duchamp - Nude descendant un escalier n. 2, 1912 – Olio su tela, 147.5 x 89 cm., Philadelphia, The Philadelphia Museum of Art)
Acustico intruglio nella notte,
lunare influsso sulla soglia del tempo,
poi sonnambuli pensieri,
destrieri rapidi.
Dammi l'attacco,
tra piatto e patto.
Sì.
Sona il bel sì,
d'oc, d'oil, d'oui,
cortese l'arnese,
Paride ed Eva, guanta na mela,
Guantanamera
Patroclo e Beowulf,
iena, lupo e leone,
indugio burino sbarazzino,
goccia perforante e claudicante,
dissetante, piangente, petalo brinoso
incandescente, borioso, bucolico,
georgico pizzetto.
Vai così,
ancora il sì,
paese violato, masticato,
bile il giornale nomato libero,
l'eurodance, i Gigi di turno
pop, dance e topini,
accigliati al piano, alle tastiere,
alle groviere,
dimmi mai o cosa fai,
la scrivente si arresta e vai a capo,
burumbum cià,
annebbiata scolaretta
nella vendetta,
l'ayatollah torchio di vendemmia,
tutto è ben quel che finisce in mi,
bufera russa o capricciosa,
rivoltosa ottombrina porpora,
zarina, cesarea,
Alessandria paludosa,
stop uno.
Movimento compulsivo,
pensiero ossessivo,
ritmo assordante
ed estatico ondulante,
pentateuco e pentagramma
cabalistico, sufismo
e panpsichismo,
percezione aumentata,
esponenziale mescalina,
astrale vite.
Lento, sh,
lento sh.
Un silenzio lo faran i papaveri,
il cemento.
Riprende, non arrestarti,
ribellati il sistema,
kantiano imperativo categorico
kierkegaardiano calar le palpebre,
recitar, il personaggio,
gioco dei ruoli,
gioco di ruolo,
gioco di parte,
Bercoglioni,
gioco delle parti,
il Vaticano.
Silenzio, ancora.
Bum!
Il pupazzo in viaggio.
Il ritorno etereo.
Il rimorso sulfureo.
Acqua distillata.
Olio e combustibile ligneo.
Classificazione enciclopedica.
Semitica semiotica e semiosi virale.
Attacco micidiale.
Falsificazioni e fornicazioni.
Formiche laboriose,
il sessantotto e le cicale.
Poi le scale.
Trasfert l'Rna.
Mitocondriale il respiro
e il nutrimento clorofillico.
Poi...
stop
secondo e terzo finale.
|
16 agosto 2015
Wieisbaden
Ametista
e opale
congiunti sulle scale,
ascende dolcemente
colei che protegge
il dono divino,
la misericordia,
carminio il vestitino.
Ok,
pian piano,
druidetta furbetta
guarda i tuoi occhi.
Che
bello,
scartiamo i ricordi,
che bello,
manteniamoci ai bordi,
bellina stridente,
visino invitante,
seducente.
Appoggiamoci
su quel muretto,
hai le labbra che non so risolvere,
ponenti, ardenti e vezzeggiate,
l' albatros è un po' inutile,
diciamo manca in concretezza,
meglio il vino se vuoi Baudelaire,
dai si ubriachiamoci di qualcosa,
tè corretto e sciupaletto,
fraintendimento e capitale
del tuo Land,
ti manca l'università,
due giri in terma,
scientifico aforisma pliniano,
ansia anzi panico
dimenticato.
Andiamo
su per monti,
giù per ditirambi stolti,
che freddo stringimi un po'
anzi mettiti di lato,
obliquo e un po' svogliato,
sulle scogliere dei ricordi,
calcare sulle rocce bianche,
voglia di gabbro, di basalto,
oh ti garba! Parla a tu per tu,
Uh Abat-Jour ! Diffondi il cardigan.
In scivoli e altalene,
mania d'elevazione,
paura dell'abisso in discesa,
ondeggiamento, buttiamoci sul letto!
Che
stupida,
ed io ti do anche ragione,
specchio dell'oblio, pluripersonale,
immotivato, gioia impersonale,
collera e desiderio.
Astuta e quasi perfettamente
sconosciuta, amica arresa,
io bitume ignorato,
vai brucia 'sto straccio,
benzina e cherosene.
Camice e saccarosio
nell'assenzio, squallido silenzio.
Facciamo
un tuffo,
trattieni il fiato,
leggi o fingi,
sei stupenda uguale,
il primo passo lo fan i capelli,
sfiorano astuti bombardamenti,
fragore,
fervore
e fragrante,
l'albero nasce dal frutto,
ricorda il fine è più importante
del generatore, ciliegina ibernica
e squisita,
io non posso far altro
che ammirarti, fossilizzarmi
nel guardarti, restare muto
ore ed ore, il tuo nome
è un rimando,
quattro semiminime, una croma
e due biscrome,
ricotte, precotti, biscotti,
scegli tu la direzione,
l'intrusione,
l'effusione eventuale,
bellina al sapor di semplice
grandezza, magniloquenza e speranza.
E il
rapporto servo padrone,
dimmi un po' chi è più importante,
l'amata, l'amante
o forse lo sguardo intrigante,
lode a sé, per sé e di sé,
uh che fiorellino,
freschezza del mattino,
uh lo dico ancora,
per te.
|
8 agosto 2015
Fuga
Prendiamoci per mano
e chiudendo gli occhi navighiamo
traversando correnti di mari lontani,
ed anche se più tardi del previsto
al fine giungeremo sulle rive
calde del nostro mondo.
Poi, senza remissioni,
ascolterò parlare per davvero
il tuo candido cuore
che, anche se in silenzio,
mi saprà dire cose
che tu non hai mai detto.
E sarai già brilla,
le tue parole fuoco e argento,
sole e vento
dalle corde vocali.
E sarai ancora più bella,
il tuo vestito dalle bordature viola,
non ti sentirai sola.
Dalla sera alla mattina
non avremo più paura
ed il nostro spirito più vero
darà corpo al pensiero
che, brulicando tra le rovine,
sarà più libero di quanto credi,
urleremo sino a tardi.
E poi verrà la notte
e tu sfinita cadrai sul guanciale
con una forza animale.
Ed io cogliendo l'attimo
carezzerò la pelle,
soffici saranno le stelle
che dai tuoi fuochi accesi
cadranno più cortesi
sul mio braccialetto.
Illumineremo il cielo
con un arcobaleno di diamanti
dagli zigomi striscianti
che toglieranno il vero,
il buono e il giusto
dalla nostra mente,
zigomi di serpente.
E, come dei bohemiens,
non ci cureremo del passato
o del futuro,
vivremo coscienti
solo di essere noi stessi.
Ma non sarà poi il giorno a svegliarci
col suo soffice e sottile filtro di luce,
sarà un repentino mutamento
della temperatura del nostro corpo.
Saremo ancora mano nella mano
e i baci, baci, baci
investiranno il corpo
come sopra come sotto.
Però la nostra forza tremante
cadrà sconfitta a terra.
Il circolo ondulatorio della testa
intorno ad un oggetto fisso,
che poi è lo stesso,
ci renderà più lenti
nei movimenti.
Il flusso di ricordi
sarà annebbiato da dimenticanze
a vivide alternanze.
Le nostre ali spezzate
saranno rinnegate
dagli altri
ma risorgeranno dal nulla.
E la fonte blu cobalto
stenderà sul tuo smalto
uno strano desiderio.
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