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BLOG "http://dichter.ilcannocchiale.it/", AUTORE DEL BLOG DOTTOR GIOVANNI DI RUBBA. GLI SCRITTI, IN LIRICA ED IN PROSA, PRESENTI IN QUESTO BLOG SONO OPERA DELL'AUTORE DEL BLOG, DOTTOR GIOVANNI DI RUBBA, E DI SUA PROPRIETÀ. |
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31 ottobre 2015
Berecyntia
Memorie
oscure (dialogo notturno)
"
nobiltà nata nel fango
alto
disonore!"
intrepido pullulare ardente di
passione, gaudio genealogico ed
intenso, scosceso sentiero di
verità
celate, disonore
intatto,
nobiltà
spezzata, fare altero
evidente ed indissolubile.
"
Angelo di bontà conosci l'odio,
i
dubbi terrori di quelle orride
nottate
che comprimono il cuore
come
carta spiegazzata?"
conosco
il lento venir meno dei demoni incantati che gioiranno fragili
all'ascesa
dell'oscurità celtica,
che
aspettano impazienti che un veltro
li
trapassi
e
li scrolli docili verso l'infinito.
rev:
"Oh
notte senza stelle, oscura notte "
tiepida
risplendi luna pallida mentre contemplo la tua immagine riflessa sulle acque
"La
notte irresistibile, la nera umida notte, la funesta notte di brividi percorsa,
ormai consolida il suo dominio"
e
le celtiche genti indomite danzano sotto il lampadario minuzioso e fioco di
speranze mentre si eclissa l'ultimo barlume e l'occidente cede il passo alla
potenza oscura
Immago
a tarda sera
Sguardo
inclinato verso il sole
proteso
all'imbrunire il tuo ardore
che
già sul mio corpo
è
notturno tepore
indiano.
Dolci
sono i tuoi occhi al far della sera
incanto
gelido il tuo leggero abbraccio
sogno:
vederti tutta splendida
l'entusiasmo
dà forma a questa immago eterna.
O
pensiero che falco su cime s'innalza,
a
due passi dal docile viso scomposto
in
eterno pensando al dolce sguardo maledetto,
superando
i confini del tempo alla fine sentirai
il
dolce suono, vento tra capelli.
Intorpidito
da te
intorpidito
da te
e
dallo sguardo silente
di
ricordi sbiaditi
e
tesi al vento
è
un attimo
e
compare multiforme
la
tua figura
in
un sussulto intrepido
vorace
e dolente
sono
solo parole
che
si arrestano dinanzi
al
tuo incauto gesto
folgorante
e
resta il tuo docile volto
indissolubile
Gelido
cobalto
gelido
cobalto
dipinto
di assenzio
in
gaudiose vittorie
etiliche
incantate
dal supremo colore
intorpidito
dal pallido
incarnato
che cede alla sera
i
misteri,
al
chiaro contatto
di
un raggio di luna.
Apparenza
terribile e lucente
apparirà
sintetica,
intraprendente
lemma silente,
apparirà
un
tepore nel cielo
senza
preavviso,
dico
sul serio
stringendo
nei pugni
il
tuo velo sospeso
di
inquietudine
cambierà
tutto
come
solo
un
arido sentiero
ha
breccia
nella voce
dimessa,
un po' cupa,
nostalgica;
intorpidito
ogni furore
sono
strade,
intenta
al suicidio
di
catrame
che
sfiora ad ogni ora
il
tuo buon umore,
e
senti dolente
il
mutamento
della
pioggia.
Ricordo
fulmineo
dagli
occhi incauti
mal
dimessi
al
silenzio
loquace
come fluido
diluito
e
tenebroso
di
pensieri impuri
che
m'invadono
e
che si inchinano
al
tuo apparire
furiosa
in
estasi per un ricordo.
Fede
notturna
Il
capiente cofanetto
di
gioie perdute
sperso
tra rime
che
solfeggi sussurrati si fanno
sbiaditi
tra le dita.
Pensieri
stanotte
di
fughe astrali,
storie
da seppellire nell'oblio babelico
mentre
si impone pallido e scarno il tuo volto
spinto
dal silenzio dell'ultima nota addormentata
sui
tuoi seni disillusi aneliti di vento.
Ritorni
assopita
mi
guardi stupita,
il
domani dell'oggi è figlio del mio desio
e
il cuore indelebile su carta tracciato.
Sonnambula
silvana
L'inverno
sboccia dai rami,
scende
rugiada nottambula
ad
occhi sciupati
svogliata
sorprendi,
è
già ora.
La
storia, la nostra,
non
la racconto io,
soltanto
tiepidamente la sfioro
per
non svegliarti,
ma
riapri gli occhi a fessura
sei
tenere tra le mie mani
dolce
bocciolo silvano.
Gaudio
improvviso è madore
sul
tuo corpo sigillato,
effluvio
e vento tra fronde inerpicate
di
capelli furenti.
Ecco,
si
cristallizza il momento,
tu
voltata verso il mare d'inverno,
la
veste di lino traspare
inaudita
precipiti tra braccia indolenti.
Fuga
Prendiamoci
per mano
e chiudendo gli occhi navighiamo
traversando correnti di mari lontani,
ed anche se più tardi del previsto
al fine giungeremo sulle rive
calde del nostro mondo.
Poi,
senza remissioni,
ascolterò parlare per davvero
il tuo candido cuore
che, anche se in silenzio,
mi saprà dire cose
che tu non hai mai detto.
E
sarai già brilla,
le tue parole fuoco e argento,
sole e vento
dalle corde vocali.
E
sarai ancora più bella,
il tuo vestito dalle bordature viola,
non ti sentirai sola.
Dalla
sera alla mattina
non avremo più paura
ed il nostro spirito più vero
darà corpo al pensiero
che, brulicando tra le rovine,
sarà più libero di quanto credi,
urleremo sino a tardi.
E poi
verrà la notte
e tu sfinita cadrai sul guanciale
con una forza animale.
Ed io cogliendo l'attimo
carezzerò la pelle,
soffici saranno le stelle
che dai tuoi fuochi accesi
cadranno più cortesi
sul mio braccialetto.
Illumineremo
il cielo
con un arcobaleno di diamanti
dagli zigomi striscianti
che toglieranno il vero,
il buono e il giusto
dalla nostra mente,
zigomi di serpente.
E,
come dei bohemiens,
non ci cureremo del passato
né tantomeno del futuro,
vivremo coscienti
solo di essere noi stessi.
Ma non
sarà poi il giorno a svegliarci
col suo soffice e sottile filtro di luce,
sarà un repentino mutamento
della temperatura del nostro corpo.
Saremo ancora mano nella mano
e i baci, baci, baci
investiranno il corpo
come sopra come sotto.
Però la nostra forza tremante
cadrà sconfitta a terra.
Il
circolo ondulatorio della testa
intorno ad un oggetto fisso,
che poi è lo stesso,
ci renderà più lenti
nei movimenti.
Il flusso di ricordi
sarà annebbiato da dimenticanze
a vivide alternanze.
Le nostre ali spezzate
saranno rinnegate
dagli altri
ma risorgeranno dal nulla.
E la
fonte blu cobalto
stenderà sul tuo smalto
uno strano desiderio.
Berecynthia
Nube
d'assenzio discende lieta sulle tue forme perfette, un nuovo giorno avanza e si
dipinge lo spettro della vita tra storie colme di verità, anzi la venuta di
mille colori esplosi tra i rami spogli, un desiderio, rompe ogni attesa e si
impreziosisce la tua fragilità, un simpatico refolo ti schiarisce la voce e la
realtà bianca e pura è il tuo potere, il solito crescendo tra le foglie è
l'apparenza dei tuoi capelli di rame, dei tuoi sogni innocenti e dei tuoi cenni
perversi di generalessa alla mensa del sapere con l'elmo e il candore di parole
ferme e frementi mentre scorre il tempo e resti la ragazza di sempre, la
dominatrice di ogni sussulto e di ogni canto.
In cima al monte bendata sei il refrigerio dei miei pensieri, la fonte dei miei
desideri, passano i mutamenti, ritornano all'origine anche quelli, ai ricordi
dai forma e vita, unito al cielo il tuo fiato gelato, congiunzione dello
spirito tra labbro e fronte, segnali occulti tra i righi, spazi che colmano le
indecisioni, chiavi svogliate e da te sincronizzate, mantieni il tono di voce e
impassibile ti addentri tra i tuoi trastulli artistici, creature immortali alla
tua sinistra, stendardi e simboli a destra, mille diademi e l'assoluto poggiati
sul capo, sospeso il giglio e l'acacia tra i denti, il leggio lì innanzi emana
leccornie d'incenso, è tutto pronto, ogni cosa al suo posto, inizia il folle e
ardito sbarco.
L'attimo di silenzio è riprodotto dal verbo muto, l'aura alle tue spalle si
infiamma, si inerpica il violaceo riflesso, tutto è stato detto, togli il velo
del giulivo e del tragico incanto e si arresta il flusso, si intorpidiscono i
sensi, voci lontane sono un unico coro e la linea delle cinque sostanze
un'unica barriera di forza, l'uno invisibile diviene percepibile.
...ed
ora, reduci da quest'ennesima
crociata
siamo
striscianti ma con gli occhi al cielo...
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23 ottobre 2015
Notte ai Decumani
Notte ai
Decumani
la consorte
del principe di Venosa
coperta solo
di lenzuola
maledice i
madrigali verseggiando,
barlume
corneo nei suoi occhi.
Sansevero
miscelava arsenico
e belladonna
sulla tela
poi come un
caimano piangeva,
da cura
sforbiciata per il plasma.
Vorrei
bruciare l’odore
dei pallini
d’incenso in combustione
privi di
allori e seducenti,
il venditore
di giornali sembra
aggiudicatario
battitore,
picciola non
dimenticare
di
trasmutare la morale.
Croce
diplomatico mancato
estetizzava
estasiato in biblioteca,
l’arte è una
parte,
direi però
la fondamentale,
la molla
della storia
e del
circolo perverso della gloria.
Patteggiamo
col divo Nerone!
E l’era dei
fumetti
letti in
piazza
tra il
gomito e la tazza
di solfuro
intarsiata
stracolma di
folla indispettita,
cicche
fumate a metà.
Varia
l’effige!
Bruno
studiacchiava
nel chiostro
e si distraeva,
poi buttava
all’aria le icone
dei fratelli
e le
sostituiva con scritti
babilonesi o
neoplatonici.
Virago celtica!
Ed affinché
non
dimenticassimo le beffe
con le
cornamuse contuse
facemmo il
verso al gesso
del docente
inconcludente.
E spaziamo
con la danza!
Vai là,
ondeggia a
sinistra o di là,
vai già
più lenta
della musica,
ritmata la
tua scorza di limone,
candito
inflitto a
pizzico di dito.
La violenza
fu sconfitta
con un bacio
in palafitta
dell’invasrice
indoeuropea
ancella di
Brighid,
era un’epoca
remota
ma l’edenica
scena
non fu mai
più riproposta,
sono fiori colti
nel deserto
e tradotti
in sanscrito.
Voilà,
non manca
fumo pel digiuno,
voilà,
c’è cenere e
amore se ti volti di là,
il capo
piumato è scolorito
allora
rinunciamo all’allettante invito.
Nella notte
si cacciava
per
maledizione
non ci si
nutriva più
solo di
frumento e bacche,
la simpatica
ragazza
faceva
l’occhiolino
ed
incrociava le braccia.
Sai già,
conosci il
nome del silenzio,
vuoi avere
le cartine al tornasole,
le patrie
senza limiti e frontiere.
Le musiche
non cambiano
da popolo a
popolo
c’è
comparabilità nell’identità
perché
l’essere diverso
si
identifica solo con l’incontro
e col
confronto
ed acquista
così unicità.
Mi conceda
infine l’ultimo passo di danza.
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15 ottobre 2015
Porgimi gli affanni in assonanza
Cos’è?
Non credo il cambio
stravolgente della pioggia
dagli occhi,
così per scadimento atroce,
per sopito dilemma dalle mani,
dai canti antichi disincantati,
neanche è un rimorso,
come sogno,
come rostro al centro,
al vertice qualunque
oppur in aree protette
per gioco perverso.
Sono forse le smagliature
del frastuono
che già vanno sicure
in conclusione
mentre tu diffidente
cambi accordo,
dal rock al folk
poi al rock,
ma dimmi,
tu dove sei? Tu che sei prona
sul letto ad incantare
ammiccante,
do7 sol.
In fondo la decisione
è stata presa,
sentenza inflessibile,
nessun gravame possibile,
tra noi solo silenzi,
incompatibili,
diversi,
magiche manie involontarie,
sì,
magari anche il cofanetto
e le tue gioie stampate
tra labbra violacee,
tra il mascara dark,
tra i nuovi indumenti. Avvinghiata
tra collane e piume,
sincretia,
sì,
dai,
lo ridico,
metti la gonna zingaresca,
metti i braccialetti
turchini, quelli alabastrini,
quelli iridei,
poi infine quelli con le borchie,
e sì.
Sarà quel tuo mah
a intrigarti vanitosa,
o anzi quel sospiro
di velluto,
quel baratto arabesco,
quell’intarsio da mercatino,
e poi,
e poi un paio di vinili,
o diamine l’artista,
proprio non ricordo il nome,
credo robetta spagnola
o francese,
panteista quindi o
dada,
sintetizziamo, dai,
anarcodecadente,
vana suadente,
scanzonatamente,
poi batte il piano lontano e forte,
t’aggio voluto bene, assai
(quell’assai lo dici tre volte).
Ci vediamo ancora?
Certo, ci vedremo
nel momento in cui avrai
finito i tuoi giorni
(dio che bastarda),
quando l’anima
si ricongiunge al corpo
(ma non è già congiunta,
mah,
e questa volta mah lo dico io),
quando magari
non sei più tu nemmeno
(io credevo che alla fine lo trovassi
me stesso
non lo perdessi,
continuo con i mah,
no dai,
faccio uno smile da sms),
quando percepirai l’assunto
e lo comprenderai in contemplazione.
Con fumetti
persi tra i denti
che non mostri,
nel momento che sostieni
il campanile trecentesco
ricco di scritte,
ah gli artisti di strada,
ci pensano già loro,
tengo nel palmo il tutto,
porgo il patrimonio decumano,
parlo invano.
O infine canticchiando
di nuovo, nell’istante
in cui ti scuoti,
fulgente neopalestrina
riproponi i tuoi contrappunti
gotici.
Scenderà la foschia
in pieno luglio partenopeo
per serviti
un paesaggio condito
e tundreggiante
sottomesso ai tuoi voleri,
poi un ululare scandinavo
sarà indipendente
dal suono germanico o vittoriano,
sarà quasi similfinnico.
Nell’ipotesi cambiassi idea,
sai dove trovarmi,
porgimi gli affanni in assonanza.
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8 ottobre 2015
Succubi alla profezia
Succubi alla
profezia
si partiva,
centomila
armate schierate,
marce e
petti impostati,
rami d'ulivo
e palme tra
le mani,
all'improvviso
il cataclisma planetario,
l'infinità
dei mondi
ridotta a
circolo delimitato
dall'invettiva,
dall'inventiva
femminea.
Nel tempio
di Delfi
la comunità
di Filadelfia lesse,
i copti
intralciati dalla Maddalena,
intimamente
riapparve Atlantide,
con
nocumento,
gli dei
torneranno,
sono tornati
o stanno
avanzando.
Nella Città
Eterna
fu un lampo
a scatenar la foga,
in un solo
istante
fu riacceso
il fuoco di Vesta,
due
metallare in un angolino
a fumare,
tre
scuotimenti emo
a
tagliuzzare i resti artificiali
del domani,
a
riaccordarli,
a incollarli
ad uso collage dadaista,
sembra che
sia sublimato
il punto
alternativo di vista.
Nella volta
celeste
diversi
segni luminosi ingannevoli,
nella
stratosfera i caccia americani
si accostano
e implodono
ad uso
cheeseburger,
bevanda e
patatine
ovviamente
comprese.
Infine lungo
il corso
si sviluppa
l'apocalisse,
tra le
caldarroste
e gli
artisti di strada,
spiazza
l'iceberg inflitto
a colpo
d'ascia
della
scienza spiritica
congiunta in
sezione aurea
alla
naturale.
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4 ottobre 2015
Sonata
Due bestiole
si presentano,
che
graziose, che portamento,
che quiete
sentir il fermento muto,
l'incanto,
il canto tuo, è così sublime
(e sei col
libro chiuso).
Sembra quasi
la musica
non si
percepisca,
solo un
lontano bagliore tonale,
è un'arpa
rinascimentale,
un inciso
spirituale.
Il risveglio
fischiettante dei folletti,
con gli
intenti furbetti,
dolce fiaba
emo,
tra Selene
fremo,
Eos avanza,
che temperanza,
la giostra
gira cara ragazza
nel carillon
protetta,
cardigan,
sia benedetta
la tua faccetta.
In punta di
piedi
tra viali
scoscesi
saliamo i
gradini,
sfidiamo gli
altarini vicini
vicini,
scansiamo il nemico
e facciam
l'occhiolino
e tu danzi
avvinghiata
a te stessa
sotto le stelle,
dio mio che
splendore!
L'acconciatura
francese
ti sfiora la
palpebra distratta,
allora
oscilli trottolina vorticosa
e scomposta,
dionisiacamente
risorta.
Ciclo
naturale
e
metempsicosi corporale,
batto i tre
quarti,
figura
perfetta e stellata
da
musichetta pitagorica,
le etalage
di turno
congiunte in
Saturno
hanno la
luna storta
e contorta.
Il meridiano
divide il limone
in
atteggiamento sospetto,
in dolce
compagnia sul letto
aspro e
strisciante,
la corda
pizzica ancora
come
formaggio l'asola.
E c'è una
festa in piazza,
si sente
dalla terrazza,
più altera
va la ragazza.
La spola fan
tre o quattro
appostati
sotto il palco autunnale,
il vento
soffia,
l'amplificatore,
la spina, le cuffie,
il motore.
E poi gli
stralci,
sonetti o
minuetti,
il maestro
si sbatacchia,
poi vede la
ragazza,
non è
distrazione
ma entrar
nel vivo della questione.
La musica
infatti avanza,
avvitamenti,
piroette
maledette,
odore di
fumo, sbuffa la pipa
all'inverso.
Siamo ancora
all'inizio,
ne
passeranno di ponti
sott'acqua,
archi romani sprofondati
e corrosi
dal flusso,
il maestro
spettinato
indossa il
cirro stonato,
copricapo
lodato, disimparato,
frastornato
e sciupato.
Vai in re
minore,
te lo
aspetti,
non sei
dodecafonico,
allora
l'orchestra sbadiglia,
pastarella e
amarena stanca,
vorrebbe
inchinarsi per sopirsi,
il pubblico
bivacca,
divora le
note indigeste,
scucite e
scandite
dal
ticchettio di novena ripiena.
Eccolo,
entra in
scena,
proprio
mancava, l'assicurato
impresario
che lancia in aria
i tre
danari, mette da parte
e investe i
talenti
ad uso
contadinello ottuso
ed imbevuto
di pesticida laureato,
di sandalo
arricchito e deluso.
La ragazza
sonata si ribella
alla
disfatta, gambe all'aria,
è tutta
fatta,
affonderà
col transatlantico,
vicino mio
dio,
l'incubo
mio,
tra le fauci
del coccodrillo
riversa
sincera la chimera
e le
partiture, tutte le arsure
e le
violette infine.
Mi alzo dal
letto al frastuono,
il
pragmatismo ha svilito il suono
docile e contemplativo,
l'anima e lo
spirito si ribellano
ad un corpo
che non vuole piegarsi
ad essere
semplice contenitore
e strumento
dell'una e dell'altro.
E scorgo
lontano,
la vista
aguzzo,
dicevo
scorgo un lamento
materializzato
di un mondo eclissato,
un mondo
lontano e ovattato.
Poi uno
scalpitio,
il
mendicante ritratto,
armato di
bastone,
nell'incedere
distrae.
Folle,
folle,
folle il
venditore,
freme,
freme,
freme la
bancarella,
fruga,
fruga,
fruga sotto
il suo velo.
Il nostro
cuore è l'ultimo rumore,
il vento
ancora più forte respira affannato,
mi hai già
dimenticato? Ma dai,
eri colà
poco fa.
Che cosa
diresti al mio posto,
fischietti e
mi ignori,
padrona
dell'oblio notturno.
Cambio di
scena repentino,
la ragazza
mi riabbraccia,
cade in trance,
cade in
estasi mistica,
in un attimo
è trafitta dal dardo d'amore,
il
fanciullino alato ha di nuovo vinto
e perverso è
il seguito...
Va tra le
note di nuovo,
godi la
musical vitalità,
vai
spogliati,
leva le
lineette nere,
bianco il
foglio dipingiamo
ed
annotiamo.
Che carina
la mantellina
incrinata
sul ruscello,
mi guardi
fissa e risplendi,
mi copri il
labbro e la tua bocca sfiora
la mia
fronte, la mente in refrigerio.
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