Due bestiole si presentano,
che graziose, che portamento,
che quiete sentir il fermento muto,
l'incanto, il canto tuo, è così sublime
(e sei col libro chiuso).
Sembra quasi la musica
non si percepisca,
solo un lontano bagliore tonale,
è un'arpa rinascimentale,
un inciso spirituale.
Il risveglio fischiettante dei folletti,
con gli intenti furbetti,
dolce fiaba emo,
tra Selene fremo,
Eos avanza, che temperanza,
la giostra gira cara ragazza
nel carillon protetta,
cardigan,
sia benedetta la tua faccetta.
In punta di piedi
tra viali scoscesi
saliamo i gradini,
sfidiamo gli altarini vicini
vicini, scansiamo il nemico
e facciam l'occhiolino
e tu danzi avvinghiata
a te stessa sotto le stelle,
dio mio che splendore!
L'acconciatura francese
ti sfiora la palpebra distratta,
allora oscilli trottolina vorticosa
e scomposta,
dionisiacamente risorta.
Ciclo naturale
e metempsicosi corporale,
batto i tre quarti,
figura perfetta e stellata
da musichetta pitagorica,
le etalage di turno
congiunte in Saturno
hanno la luna storta
e contorta.
Il meridiano divide il limone
in atteggiamento sospetto,
in dolce compagnia sul letto
aspro e strisciante,
la corda pizzica ancora
come formaggio l'asola.
E c'è una festa in piazza,
si sente dalla terrazza,
più altera va la ragazza.
La spola fan tre o quattro
appostati sotto il palco autunnale,
il vento soffia,
l'amplificatore, la spina, le cuffie,
il motore.
E poi gli stralci,
sonetti o minuetti,
il maestro si sbatacchia,
poi vede la ragazza,
non è distrazione
ma entrar nel vivo della questione.
La musica infatti avanza,
avvitamenti,
piroette maledette,
odore di fumo, sbuffa la pipa
all'inverso.
Siamo ancora all'inizio,
ne passeranno di ponti
sott'acqua, archi romani sprofondati
e corrosi dal flusso,
il maestro spettinato
indossa il cirro stonato,
copricapo lodato, disimparato,
frastornato e sciupato.
Vai in re minore,
te lo aspetti,
non sei dodecafonico,
allora l'orchestra sbadiglia,
pastarella e amarena stanca,
vorrebbe inchinarsi per sopirsi,
il pubblico bivacca,
divora le note indigeste,
scucite e scandite
dal ticchettio di novena ripiena.
Eccolo,
entra in scena,
proprio mancava, l'assicurato
impresario che lancia in aria
i tre danari, mette da parte
e investe i talenti
ad uso contadinello ottuso
ed imbevuto di pesticida laureato,
di sandalo arricchito e deluso.
La ragazza sonata si ribella
alla disfatta, gambe all'aria,
è tutta fatta,
affonderà col transatlantico,
vicino mio dio,
l'incubo mio,
tra le fauci del coccodrillo
riversa sincera la chimera
e le partiture, tutte le arsure
e le violette infine.
Mi alzo dal letto al frastuono,
il pragmatismo ha svilito il suono
docile e contemplativo,
l'anima e lo spirito si ribellano
ad un corpo che non vuole piegarsi
ad essere semplice contenitore
e strumento dell'una e dell'altro.
E scorgo lontano,
la vista aguzzo,
dicevo scorgo un lamento
materializzato di un mondo eclissato,
un mondo lontano e ovattato.
Poi uno scalpitio,
il mendicante ritratto,
armato di bastone,
nell'incedere distrae.
Folle, folle,
folle il venditore,
freme, freme,
freme la bancarella,
fruga, fruga,
fruga sotto il suo velo.
Il nostro cuore è l'ultimo rumore,
il vento ancora più forte respira affannato,
mi hai già dimenticato? Ma dai,
eri colà poco fa.
Che cosa diresti al mio posto,
fischietti e mi ignori,
padrona dell'oblio notturno.
Cambio di scena repentino,
la ragazza mi riabbraccia,
cade in trance,
cade in estasi mistica,
in un attimo è trafitta dal dardo d'amore,
il fanciullino alato ha di nuovo vinto
e perverso è il seguito...
Va tra le note di nuovo,
godi la musical vitalità,
vai spogliati,
leva le lineette nere,
bianco il foglio dipingiamo
ed annotiamo.
Che carina la mantellina
incrinata sul ruscello,
mi guardi fissa e risplendi,
mi copri il labbro e la tua bocca sfiora
la mia fronte, la mente in refrigerio.