Sgocciola il ricordo,
pianto
è l’illusione
di un giro contorto
perso tra visioni,
versioni,
incursioni,
andaluse stanze,
piazze
in giro tramortite.
Così
misi la fine
la mia
quando
sognavi ancora e poi
credevi
all’ultima intrapresa
resa
come
inizio e dignità.
Ancora e ancora,
solo l’aurora,
resta il tempo
maledetto
del ricordo
ieri vedo
ciò che dico
e raccontai
tra l’intervallo
primo e questo.
Così,
sarà così
che tu
struggente,
la stessa,
la vita
di quando
a un palmo
ero distante
e tu così vicina.
E canto
e cantai solo di te.
Tormenti
intesi,
sussurri
gli anni passati
ormai finiti.
Eccoti
qua,
cambiata e sempre tu,
ragazza che raccoglie in sé
l’armonia tutta,
l’umanità intera
ed ogni altra non è
che parte di te.
Eccoti di nuovo
nella mia memoria
stesa su panchina,
mi ricordo!,
dicendo sai,
discorso
prezioso,
tu ricordi il nostro tempo
al confine
dell’universo
intero;
esso era
ed è ancora
nei tuoi occhi
che sai
e sai il tuo nome
e dire
sì, è questo,
scoperto il suono
sull’atlante
ma dopo
il gusto
io scriverei la stessa cosa.
Il segno del ricordo.
E tu continui
Bea con la lettera d’inizio,
ossia lì alla fine della musa
di bellezza,
che ti rimanda
al boschivo
cirro tra porpora e arenaria
e all’occhio lucente
metilene e cobalto,
ma sfumato e profondo.
S’arena dunque l’alma mia
come lucente al trotto
del giro commosso
e ridicolo
e s’arena ancora alla tua vista
splendente
che sembri trafitta e risorta,
che sembri andata
ma col vigore di allora,
che ti amo ancora in diecimila
intensità diverse
ed amo il tuo corpo
soggetto a mutamento
e più muta più l’amo
più penso
ad allora,
l’estate e quanti anni!
Quando cominciò
come valanga ora immerso
nel fango,
in sedimenti irrecuperati
e irrecuperabili
o tu mia luce,
quanto di te ricordo
e prima ancora dell’immagine
la voce
e prima ancora il suono
e il sibilo anzi ancora
quanto m’è dolce.
Quanto mi è dolce il tuo volto
che si scrolla
e tutto nuovamente smuove
e non solo in me
ma traballa in mille serie multiformi
tutto ciò che è attorno.
E dal corpo all’alma tua,
quella ancora più viva
quella tua maestosa alma
alla tua statura parva
che ingrandisce l’orma
di te
in un tripudio
dell’immenso
e l’alma, l’alma
è l’alma
sei tu splendida!
La tua alma dormiente
che subito si sveglia,
la tua alma che ti è e ti rende
e tu divieni
dunque
immortale alle genti
e l’essenza
traspare
e languisce,
la vista inebria
e la mia parola si arresta
tu verità dalle tante ragioni
e dal cuore di tenebra,
incanto del domani
il nostro passato.
E ti rivedo
e ti sogno
riletta ovunque
e ovunque
una persa
ricuperata
e intensa.
E lo spirto
più ancora
è il tuo verbo
di cui ho detto,
e che lascio al silenzio
nella preziosità della tua assenza,
a me forse più prezioso
ma adornato
ed agghindato
se mai risentissi
o concessomi farlo
divina che ometto la i
mettendola in eccesso
come alle terme
perché la mia è incompletezza
e la tua perfezione.
Ah sapessi che fai,
sapessi parlare
o scrivere
o dire
o segnare nell’aere
o nel segno tuo stesso
di ieri il completamento
quanto lontana mi è la vita,
quanto le cose,
quanto gli affetti,
quanto l’amore,
ma ragazza di un tempo,
indelebile mia compagna assente
di questi ultimi miei anni,
sapessi vivere
vivrei di te.